Pur se interessante, grazie anche alle notevoli capacità del relatore, la relazione del capitano Romano, articolata lungo tutto il periodo del brigantaggio nell’ex Regno delle Due Sicilie, non ha apportato elementi nuovi a quanto già analizzato dalla storiografia esistente.
Il tema della guerra civile, o della guerra coloniale, ormai attraversa la Storiografia italiana da più di quarant’anni. Ognuno può scegliere dove posizionarsi: dalla parte del brigante-partigiano-eroe o dalla parte del brigante-delinquente-bandito. Personalmente preferisco avere una visione di mezzo. Certo, il brigantaggio è stato un movimento politico, così come anche il banditismo. Più probabilmente è stato lo scontro tra due mondi: il feudale ed il moderno. Resta il fatto che ogni processo di modernizzazione provoca delle reazioni e ogni modernizzazione porta in sé dei costi. Nell’1talia del 1860 a pagare il costo più caro sono stati i contadini meridionali: i nostri bis e trisnonni. La zona tra Serracapriola, San Paolo di Civitate, Torremaggiore e Casalnuovo era una delle più “calde”. Gli studi di Stanislao Ricci su Serracapriola e alcune mie ricerche su San Paolo, oltre ad una bibliografia corposa, confermano ciò.
La relazione del cap. Romano lascia qualche dubbio. L’idea centrale vede il Regno delle Due Sicilie come una sorta di eden economico e sociale. Un eden bruscamente interrotto dallo sbarco di Garibaldi a Marsala. Questa visione storica non corrisponde alla realtà. Lo Stato borbonico, teocratico per eccellenza, soffriva già prima dell’annessione sia per motivi economici sia per motivi sociali. Certo tutto è stato aggravato dopo l’ottobre del 1860, ma già era presente. Non si può sostenere che lo Stato delle Due Sicilie fosse economicamente forte. Si può dire invece che il Regno dei Borboni viveva in un relativo isolamento. Salvemini lo definì “isolato dall'acqua salata su tre lari e dall acqua santa su un lato”
Quanto ai finanziamenti inglesi a Garibaldi, ad opera di Gladstone, è risaputo da tempo. Gli inglesi adoravano letteralmente l’eroe dei due mondi e le loro mire sul Mediterraneo convergevano verso l’Unità d’Italia. Di Garibaldi si può dire di tutto, che sia stato eroe o pirata, certo non si può dire che sia diventato ricco. I soldi percepiti dagli inglesi furono impiegati per comprare armi. Garibaldi non ha mai accettato soldi per sé.
Altra questione, di carattere metodologico, è l’uso delle fonti. Secondo il cap. Romano le fonti, in qualche modo, parlano da sole. Per me vanno “fatte parlare”: dipende da chi le usa e da come le usa.
La relazione ha avuto il merito di richiamare sul tema la nostra attenzione e di questo siamo grati al capitano. Ma è inevitabile un’ultima considerazione. Da quando è venuta meno la cosiddetta prima Repubblica, grazie anche ai consensi raccolti nelle regioni settentrionali dalla Lega Nord, la geografia politica dell’ltalia sta cambiando rapidamente. In più occasioni si è cercato, con scarso successo, di riproporre nelle regioni meridionali qualcosa di simile. Operazione che culturalmente potrebbe anche avere un carattere interessante, per alcuni aspetti, ma reputo sia sostanzialmente errata. Il “neoborbonismo”, se così si può definire. rischia di portare più confusione che soluzioni. La nostra storia, al di là delle proprie scelte politiche o culturali, è segnata da passaggi cruciali: le trincee del Piave. la ritirata di Caporetto. l'8 settembre 1943, sono solo alcuni di questi momenti. A questi. noi italiani delle regioni meridionali, dobbiamo sicuramente aggiungere il brigantaggio. Il nostro “essere italiani" passa anche da Cicognitto. dalle fucilazioni in piazza. dalle condanne ai lavori forzati, ecc..
Se riflettiamo, possiamo vedere, come tutti questi momenti di “crisi” abbiano un comune denominatore: il crollo dello Stato. Nel 1860, nel 1917 e nel 1943.
Quello che dice il cap. Romano è interessante e stimolante. Ma la sua prospettiva lo contraddice. Sventolare oggi, nel 2008. la bandiera borbonica è sinonimo di chiusura. Penso invece che il momento attuale abbia un estremo bisogno di aperture.
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