Pochi serrani si potevano permettere l'uso di più paia di scarpe. D'estate i ragazzi meno abbienti, e ne erano tanti, camminavano scalzi. Ma tutti si facevano fare dal proprio calzolaio, schèrpère, almeno un paio di scarpe, che dovevano durare il più a lungo possibile. "Nel 1895 il calzolaio Donato Di Tizii, di Mozzagrogna (Chieti), avendo sposato la serrana Eleonora Francioso, si stabilì con la sua bottega in via Nicola Ciampa n.14. Perfezionatosi a Napoli, viene ricordato come uno dei primi maestri della calzatura nostrana (dopo Matteo Violino e SaIvatore Giaccio -1700 - Leonardo Pescatore di Giorgio -1866- e Giovanni de Renzis di Michele - 1873 -). Serviva i Maurea, i De Nardellis, i Castriota e altre famiglie agiate del posto.
 Quando gli veniva ordinato un paio di scarpe egli, su un cartoncino, disegnava la forma del piede del cliente. Poi misurava la pianta con il contorno del piede e, per le scarpe alte, il collo del piede.Teneva conto a volte di difetti e di calli assolvendo così il suo scrupolo professionale.
 lndossato il grembiule di pelle, vèndére, si sedeva su una sedia bassa davanti al deschetto, bènchétt, in modo da tenere le gambe piegate ad angolo retto per potervi poggiare stabilmente i vari attrezzi. Iniziava il lavoro con il materiale fornitogli a S. Severo dal grossista di pellame de Luca. Per confezionare gIi scarponi da campagna sagomava la tomaia tagIiando la vacchetta suI tagliere di legno con iI trincetto. Poi procedeva alla scarnitura: con un pezzo di vetro l'assottigliava nei punti corrispondenti al coIlo del piede. In seguito con le tenaglie da tiro tirava la tomaia, dopo averla tenuta a bagno in una soluzione di acqua e crusca, per poterla fissare con dei chiodinl ad una speciale forma detta cambro. L'arcuatura le faceva poi assumere la forma del piede. Mentre si asciugava, tagliava le fodere. In seguito preparava il contrafforte da porre dietro al calcagno tra la fodera e la tomaia. Tra le varie forme di legno, di misura diversa (erano numerate: per stivali, per scarpe da bambini, da uomo, da donna con il tacco alto), sceglieva la più idonea e su di essa sagomava le suole e le sottosuole con un pezzo di cuoio adatto allo scarpone. Ormai i vari pezzi erano pronti per il montaggio. Il calzolaio incollava le suole, tenute a bagno, alla pianta della calzatura e intorno lasciava un bordo scanalato, che, bucato di volta in volta con la lesina, sugghje, cuciva, tirando lo spago impeciato col manale. Passava alla formazione del tacco con pezzi di cuoio sovrapposti. Batteva con il martello lo scarpone infilato nella forma del piede di ferro per dargli la forma voluta e, prima che la pianta si asciugasse, chiodava la parte che doveva poggiare per terra con buIIette, centréll e chèpucciune, per ritardarne l'usura. Non restava che praticare i fori con lo stampino per le stringhe di pelle, crejule, e applicare gli appositi occhielli metallici. Le ultime rifiniture con il marcapunti e il bussetto e gli scarponi di cuoio del peso di due chilogrammi erano pronti.
 Per le donne Donato, tra l'altro, confezionava molti stivaletti di capretto col tacco di cuoio medio-basso abbottonati di lato o allacciati, specie negli anni 1915-18. Il richiamo alle armi degli uomini costringeva molte donne a sostituirli nel lavoro dei campi con calzature pesanti.
 Nel 1921 approntò ai figli del duca di San Cipriano i primi stivali. Per i matrimoni i possidenti ordinavano scarpe di pelle lucida nera, mentre per le spose era d'obbligo il bianco anche per le calzature. Altre scarpe di lusso erano di cromo (nappa): pelle di capra conciata, di tanti colori.
 Nel 1934 il figlio di Donato di Tizii, Silvio, continuò il lavoro paterno al n. 6 di piazza Umberto I, mentre l'altro apprendista Matteo Gentile si mise in proprio con un altro laboratorio.
 Dopo la seconda guerra mondiale, i calzolai, in mancanza di materia prima, per confezionare le scarpe utilizzavano il feltro dei cappelli e il cuoio di vecchi finimenti o di cinghie smesse. Intanto col passare degli anni, quando l'economia cominciò a risollevarsi, il negozio di pellami dei fratelli di Nonno a San Severo diventava il centro di rifomimento dei nostri artigiani. I fratelli Michele e Vittorio Orlando, Gabriele e Silvio Basilica, di Cesare Matteo, Santelia Vittorio, Michele Torres Pésturiéll, Biagio Pucarelli, D'Ercole Bartolo, e altri si rifomivano di cuoio e pelli, di semenza in filo di acciaio dolcissimo, sumentèl, smicc, di cera Astro per sformare, di spago. Non dovevano mancare catenacci, salvèpunt e bullette, centréll, di tutte le misure e forme che dovevano chiodare gli scarponi da campagna e le scarpe dei bambini. Agevolò il lavoro dei calzolai l'industrializzazione dei tacchi di gomma e delle tomaie di tutte le misure.
 l fratelli Ettore e Sanzio Merigioli con altri calzolai lavoravano anche per un piccolo imprenditore locale, Alfredo de Luca, Angelemèri, che andava vendendo le scarpe per le fiere del circondario. lntanto i calzaturifici italiani cominciavano a produrre scarpe di tutti i tipi, da donna, anche con i tacchi a spillo, e da uomo, seguendo la moda del momento, a prezzi inferiori a quelli degli artigiani locali. Per cui alcuni calzolai cambiarono mestiere. Altri emigrarono: Silvio di Tizii, per dare un roseo avvenire ai propri figli, in America; i fratelli Basilica in Germania. I rimanenti: i fratelli Sicuranza, Matteo Gentile, Raffaele Gianserra, Antonio Orlando, Giuseppe Di Capua, con l'esperienza del mestiere, restarono nel settore diventando commercianti di calzature. Ma continuavano nei retrobottega dei loro negozi a risuolare e riparare le scarpe.
 Oggi i calzaturifici forniscono calzature di cuoio, di gomma e di plastica di tutti i tipi (unisex, polivalenti, climatizzati) e a basso prezzo, anche ai nostri due rivenditori: Alessandro D'Adamo e Ernesto Marinelli. Anche i due maestri calzolai rimasti, Gabriele D'Alonzo e Mario Del Vecchio, in veste di ciabattini, continuano a dare il loro prezioso servizio alla cittadinanza.
 Nel nostro paese c'è la possibilità di un'evoluzione nella trasformazione del cuoio e della pelle. La ditta Scarpetti della provincia di Ascoli Piceno apre in via Rossini una piccola azienda per la manifattura di calzature con la prospettiva di realizzare l'intero ciclo produttivo.