Dalla bottega di Giuseppe, umile artigiano di Nazareth, uscì il Re dei re, Cristo Gesù. Con il suo lavoro di falegname (Fa-re "lavorare" e legname. Artigiano che lavora il legno, dice il dizionario) Egli accompagnò il percorso della vita di ogni uomo, dalla culla alla bara. Per ricompensa ebbe dal prossimo due pezzi di legno aforma di croce.
 Questo nobile mestiere ha origini contadine, quando i proventi dell’agricoltura consentivano di acquistare solo lo stretto necessario. Cosi per arredare la casa, ogni contadino si costruiva i mobilidi cui aveva bisogno.
 Lavorava il legno nelle ore libere dal lavoro e nelle lunghe giornate d’inverno. Ricavava solidi sgabelli da unici pezzi di legno d’olivo, tagliati ognuno a tre gambe, i prèvele. I più bravi, oltre a realizzare la camera per se facevano anchequella per i figli, i parenti, gli amici, fino adecidere di lasciare i campi per dedicarsi esclusivamente a questo lavoro. Nascevano cosi i falegnami.

 Il legno u legnemè
 Ciò che fa del legno un materiale costruttivo diverso da qualsiasi altro, è il fatto di derivare da un organismo vivo e conservare in se le tracce inconfondibili di questa origine organica. E come da albero utilizza isucchi vitali dal terreno per vivere, così nelle opere fatte dall’uomo continua a muoversi ed ha bisogno di cure ed attenzioni. Già sul luogo dell’abbattimento gli alberi venivano privati dei rami e ridotti a lunghezze standard per facilitarne il trasporto davanti alle botteghe dei tanti màstre del paese. I tronchi venivano segati a tagli paralleli a un diametro o a taglio radiale. Si asportava il midollo e dalla parte del tronco (durame) si ricavava il legno più compatto e resistente , non soggetto a deformazioni (alburno). Dalla parte più esterna (cambio) si otteneva il legname più scadente per farne travi ed intelaiature. I tronchi ridotti a tavoloni si mettevano a stagionare accatastati in modo che l’aria potesse circolare liberamente intorno ad ognuno. Questa stagionatura naturale, che durava oltre dueanni, era la base essenziale su cui si fondava ogni buon lavoro. Oggi Mario Fiadino di Chieuti e l’unico falegname della zona che continua questa stagionatura naturale comprando il castagno e il residuo noce nostrano.
 I legni usati per lavori di falegnameria erano: l’abete, di natura resinosa, adatto per intelaiature e lavori grossolani; il castagno del Gargano, bruno chiaro con venature più scure, non molto compatto ma resistente; il faggio, giallo rossastro a fibra dritta; il pioppo biancastro, tendente al brunoe al roseo giallastro; l’olivo, duro e compatto, adatto per lavori di tornio; il leccio resistentissimo e il durissimo cerro.
 Per l’ebanisteria si lavorava il rovere a grana fine con fibre diritte e regolari; il ciliegio giallo rossastro e il nobilissimo noce nazionale, dal colore bruno più o meno chiaro in rapporto all’età della pianta. Ormai raro, questo legno, dalle venature bruno scuro ad andamento quasi parallelo (noce rigativo) oppure ondulato (noce fiammato), veniva tagliato a luna calante per evitare che si tarlasse e perdesse peso specifico. Di buona durezza, facilmente lavorabile, resistente ed elastico, rappresentava la più pregiata essenza nostrana per inostri abilissimi ebanisti-intagliatori.

 Ebanisti - intagliatori - Antica Bottega dell’arte povera di mastr’Antonio D’Alonzo
 L’arte dell’intaglio nella costruzione di mobili, cornici e porte, fu dall’ottocento fino ai primi anni del novecento una delle attività artigiane più fiorenti del nostro paese. Purtroppo la deperibilità dei materiali, causata anche dall’incuria, ma ancor più la compravendita degli oggetti sul mercato antiquariale, hanno portato alla distruzione e alla dispersione di gran parte di questo patrimonio. Tuttavia ciò che resta nelle case private, nelle chiese e nel municipio, documenta l’eccezionale ricchezza e vitalità culturale e produttiva di un artigianato che sfruttava le riserve arboree del territorio, un tempo certo più ricche di quanto non siano oggi.
 Basti ammirare la splendida scrivania, costruita e intagliata in massello di noce nostrano dal maestro carradore-falegname Francesco Giacci, nel 1920 circa, per il sindaco dell’epoca. Questo pregevole pezzo, che si trova nella nuova sede comunale, è stato ultimamente restaurato dall’ebanista restauratore Emanuele de Simone. Possa, questa reliquia, simboleggiare, ancora per lunghi anni, la vita amministrativa ed artigiana serrana.
 I nostri falegnami, coadiuvati da molti lèvurante, usavano con impegno e fatica, ma anche con tanta creatività, i vari attrezzi da lavoro. Segavano tutto a mano con una serie di seghe intelaiate: trèvéne, séche de stronghe,séchè mézz, séchè d’èssètt, séchè dè gire; o a lama libera: strungone, surracchje, ghèttucce. Piallavano con pialloni chjène, con pialle chjènozze con tanti pialletti chjènuzzétt, per sagomare le cornici. Intagliavano con scalpelli schèrèpèll e sgorbie gubbje. I pezzi di legno bloccati con morse morze dilegno o diferro, venivano lavorati su massicci banchi di cerro, di sorbo o di altro legno molto duro e all’occorrenza incollati con lacolla a caldo a coll de pésce.
 Cosi operavano i fratelli Bucci, Ernesto Torres, Andrea Fonzo, Vittorio di Siro, Martino Ucci, coadiuvato da Guido Occhionero e in seguito da Enzo Secci, Vincenzo Pucarelli e tanti altri. Michele Gallo con i figli Fortunato, Pietro, Armando e Guido si specializzarono nella costruzione di mobili in legno massello. Dopo la seconda guerra mondiale iniziarono a produrre la mobilia impiallicciata usando una prima macchina segatrice. (Oggi l’ottantenne Guido continua a lavorare dedicandosi anche al restauro). Qualche anno dopo anche Antonio Di Siro, allievo di MicheleMarinelli, coadiuvato dal figlio e da Emanuele de Simone, intraprese lo stesso lavoro dei Gallo. Michele Marinelli, formatosi nella bottega di Luigi Bucci, nella sua lunga vita di lavoro al n.10 e poi al n.7 di via XX Settembre, ebbe come apprendisti Messinese Antonio, Raffaele Gallo, Ruberto Vincenzo Scarpèlégge; negli anni successivi il cognato Peppino Pucarelli, abile ebanista, e Del Re Alessandro; infine Antonio d’Alonzo, Antonio PucareUi, Andrea Pracella (da poco trasferitosi aTermoli) e Fortunato Sciandra.
 A tutt’oggi questi ultimi falegnami, che non hanno nulla da invidiare ai loro predecessori per perizia tecnica e serietà professionale, lavorano nei loro laboratori, attrezzati di macchine moderne, con dedizione.
  Sono soltanto tre e senza apprendisti .Quale futuro per questo nobile mestiere?