La storia presentataci da quando esistono i libri e le scuole è stata più quella del ceto dirigente, delle strategie belliche, dei
grandi uomini, degli stili, che quella del popolo, forza del lavoro quotidiano,
determinante per assicurare la continuità delle tradizioni. l cervelli
saturi di conoscenze restano senza parole davanti ad un'architettura rurale,
ad un utensile o ad un'opera artigianale. Questo popolo di contadini "chèfune"
e di artigiani "èrtiste" (poveri per obbligo, economi
per necessità, ma generosi per amore verso il prossimo) aveva una
sua morale, una sua filosofia, una sua cultura. Esso sviluppò un'arte
popolare ricca e variegata...
La cultura popolare, parte integrante della vita, rispondendo a bisogni
primari quali nutrirsi e proteggersi, produsse oggetti realizzati con materiali
provenienti dall'ambiente circostante come il legno, la terra e il lino
(dall'esterno si procurava solo il sale e il ferro), fatti per servire all'uomo,
dunque che si consumavano nel tempo. Inizialmente i contadini insieme con
il lavoro dei campi svolgevano al tempo stesso piccole attività artigiane,
costruendosi contenitori, attrezzi e arredi per la casa. Le conoscenze orali
si trasmisero a voce e quelle manuali da padre a figlio, da madre a figlia.
Sorsero i mestieri. Ogni mestiere aveva i suoi attrezzi specifici e molti
artigiani li modificavano secondo le proprie esigenze. Il falegname tagliava
l'albero poco lontano e ne ripiantava saggiamente un altro al suo posto.
Il vasaio utilizzava l'ottima creta del posto. Nascevano così nelle
botteghe, brulicanti di apprendisti, i vari oggetti. Dice Baudrillard "La
fascinazione dell'oggetto artigiano deriva dal fatto che è passato
per le mani di qualcuno che vi ha lasciato un segno del suo lavoro; è
la fascinazione di ciò che è stato 'creato' (e che per questo
è unico, dal momento che il 'momento' della creazione è irripetibile)".
Un'opera artigiana si riconosce dalla Cultura del Luogo. Quando alla manualità
guidata dall'intelletto si aggiunge il cuore si ha un'opera d'arte.
Dal 1961 al 1971 con il boom economico le fasce più giovani
del popolo serrano migrarono verso i centri del Nord Italia. Il fenomeno
spiegabile continua, inarrestabile, ancora oggi. Con il declino della civiltà
contadina anche l'artigianato ad essa legato scomparve, ma sorse quello
collegato all'industria, dove la manutenzione e riparazione delle macchine
di ogni genere, ormai di uso comune, creò l'allargamento dei mestieri
artigiani. L'officina di riparazione ha sostituito la bottega del maniscalco,
così come il camion ha soppiantato il carretto. Dalla diffusione
degli elettrodomestici è nato il tecnico installatore-riparatore.
Ma nel settore delle confezioni, assorbiti dall'industria, i sarti sono
scomparsi. Se nel campo agricolo parecchi giovani (anche in possesso di
titoli di studio) continuano il mestiere dei loro padri già proprietari
di terreni, nell'artigianato c'è un esiguo apprendistato soltanto
fra i meccanici e i muratori. La crisi del nostro artigianato, finalmente
con la sua zona artigianale, è data dal peso fiscale, dalle lotte
politiche finalizzate soltanto alla conquista del potere, ma soprattutto
dalla mancanza di una mentalità cooperativistica, oggi indispensabile
per risolvere i problemi sociali. Senza questo presupposto non è
attuabile da noi la legge-Quadro n. 443/1985 che dà la possibilità
all'artigiano che la sua bottega sia riconosciuta come "Scuola"
per l'istruzione artigiana dei giovani.
Ora in un ambiente culturalmente povero come il nostro (i titoli cartacei,
specie quelli a "status symbol", non solo non fanno cultura ma
creano altri disoccupati), dove non ci sono mai stati tentativi seri di
sviluppo turistico, il Terziario non può decollare. Ma c'è
un risveglio del volontariato, infatti oltre l'attività della Misericordia
è oggi operante anche la Cooperativa Sociale G.E.A. Dei due ristoranti
è restato solo "Al CastelIo". Di alberghi, nemmeno l'ombra.
Insomma si fa l'impossibile per mandar via i villeggianti che, nonostante
tutto, con pazienza certosina carica di buon senso, tornano ogni anno a
riveder il paese natio per l'aria salubre di collina e per iI mare pulito.
Perché meravigliarsi del nostro stato, se il motto ricorrente
fra noi serrani è "... Cheme ne fréch'è
me! Bàste chè vànne bbòne i fàtte dà
chésè mije.."? Questo significa non avere cultura.
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