La parola pasta indica in realtà anche altre parole, come quella
dei pasticcini, del pane, della frutta (la pasta reale delle mandorle),
per non parlare della pasta dentifricia, che non va oltre il cavo orale.
Dunque si tratta di un nome generico che non ha diretti legami con le lasagne,
le tagliatelle, i fusilli, i rigatoni (scecchéffun)
e tutte quelle paste, per l'appunto, che fanno bella mostra di se nei giorni
di festa. Pasta infatti deriva dal greco (passo, spargo, verso sopra) e
indica non l'impasto, ma il condimento che viene unito a questo per renderlo
più saporito.
La parola "maccheroni", nel senso moderno in cui viene intesa,
anche essa sarebbe di origine greca: "macarios" infatti significa
beato o "buon'anima", perché originariamente durante i
banchetti funebri e le feste religiose si consumavano dolci particolari.
Anche la parola araba "itriyah" (focacce con sesamo e miéle)
ha un'origine greca.
La pasta alimentare (mécchérun) nacque probabilmente
quando l'esigenza di conservare un alimento con un alto potere nutritivo
per un tempo quasi indeterminato aguzzò l'ingegno alle massaie.
Essa veniva e viene ancora oggi realizzata con grano duro, più
ricco di glutine e di proteine vegetali, mentre il grano tenero viene riservato
ai dolci ed in parte al pane. I maccheroni di grano duro venivano poi fatti
seccare a lungo perché si mantenessero. La pasta fresca si faceva
in casa: la spianatoia della madia (u tèvelère da ménze)
veniva sistemata su due sedie impagliate, per comodità di lavorazione,
così si producevano i "fusille" che si ottenevano
arrotolando pezzi di sfoglia (péttele) intorno a un
ferro da calza a base quadrata, i "cechétélle"
incavando pezzetti di pasta con il pollice. E poi le famose orecchiette
('recchjtélle), frutto di un'arte raffinata e antica,
venivano lavorate da esperte mani di donne che con sapienza impastavano
la semola di ottima qualità con acqua salata al punto giusto (anticamente
era usata, con il suo profumo di mare, l'acqua dell'Adriatico) la gramolavano,
poi allungavano la massa fino a ridurla a un lungo cordone con un coltello
speciale di ferro o di legno senza manico, la famosa sferra, con una velocità
straordinaria ricavavano le piccole orecchie rugose, poiché la pasta
veniva "stréscenét" sulle scanalature
della spianatoia.
Le cupolette si lasciavano asciugare e la luce del nostro Mezzogiorno,
filtrava attraverso la sottile rugosità della pasta valorizzando
la qualità del prodotto.
Cotte avevano lo scopo di raccogliere nel loro incavo il sugo, un po'
di olio, un po' di lardo, un po' di salsiccia e il formaggio.
Qualcuno ha distinto addirittura due tipi di pasta consumati nel Medio
Evo: una fresca, chiamata lasagna, una sfoglia (péttele)
stesa con il matterello (léghénére) ed
una essiccata, nota con il nome di maccheroni, cilindrici, che venivano
fatti essiccare su bastoni all'aria.
Con certezza possiamo dire che la pasta fece la sua comparsa alla fine
del Duecento, in molte forme e varietà.
Dalla metà del Seicento si assistette ad un mutamento nei costumi
favorito dall'invenzione e dall'impiego sempre più diffuso del torchio
e della gramola dei pastai, che permettevano di produrre in maniera meccanizzata
i maccheroni.
Così si passò da un'alimentazione a base di verdure come
i cavoli (vrocchel), derrata povera e facilmente reperibile,
alla pastasciutta, conservabile più a lungo e più ricca di
sostanze nutritive.
I fratelli Centuori prima e Giuseppe Leone dopo hanno realizzato i primi
due pastifici a Serracapriola.
Nel dopoguerra un pastaio di Torre Annunziata ne ha impiantato un altro
nella ex Congrea dei Morti sita alla fine di via Bovio, fornito d'impastatrice,
di pressa con pezzi di vari formati e di una serie di telai di rete per
far asciugare la pasta corta (tubettin, scorcenucèll, sturtin,
chènnérozz, pénne, scechéffun...) mentre
la lunga veniva appesa su apposite pertiche e asciugata con ventilatori
(lèghènèll, felètéll, percétéll,
méezzezit, zit, zetun...).
Ben asciutti i maccheroni lunghi venivano avvolti con fogli di carta
di paglia (a cart di mécchérun) ed adagiati
in casse di legno (vuoti a rendere) per essere venduti all'ingrosso ai dettaglianti,
che ricevevano anche la pasta corta in sacchi di tela da 50 e da 100 chilogrammi.
Dal 1980 in via Rossini 44 la ditta D'Amicis produce pasta fresca pugliese.
Inizialmente il pastaio Carlo ha trovato difficoltà a piazzare il
suo prodotto nei negozi locali, ma non si è dato per vinto ed ha
continuato l'attività vendendo a clienti occasionali ed ai negozi
dei paesi vicini. Poi nel 1985 ha ristrutturato il laboratorio aggiungendo
tutte le attrezzature per la produzione e la confezione in atmosfera controllata
e in confezione speciale non sottovuoto della pasta pugliese in cinque formati:
orecchiette, fusilli, cavatelli, cicatelli e chitarra. Oggi riesce a smerciarla
con successo, grazie anche ai suoi rappresentanti, a Foggia, a San Severo,
a Torremaggiore, a S. Paolo Civitate, nella "lontana Serracapriola...",
in tutto il territorio nazionale e perfino in Svizzera.
Purtroppo queste piccole attività artigianali, che dovrebbero
essere incentivate innanzitutto dalla gente del posto, incontrano molte
difficoltà, poiché, oltre ad essere angariate da tasse, vengono
soffocate o rese dipendenti da grossi complessi industriali (infatti la
ditta D'Amicis per un anno ha fornito i suoi prodotti all'industria Tamma)
a discapito della creatività e della qualità del prodotto.
"Chi è sradicato, sradica" (avvertiva Simone Weil 40
anni fa). "Il primato dell'economico e il culto dell'individualità
chiudono gli occhi sulla destrutturazione violenta in atto nei paesi alto
industriali (sono noti a tuttì i disastri ecologici procurati dalle
multinazionali), sui fenomeni di degenerazioni sociale conseguiti ai processi
di sradicamento: l'aggressività collettiva e individuale, lo sgretolamento
delle istituzioni civili, la stessa crisi dell'economia".
Non siamo contro la tecnica, ma bisogna saper scegliere ciò che
è utile per il progetto a favore dell'uomo. Pertanto auguriamo al
pastaio Carlo, esempio di coraggio e perseveranza, di poter fare nella prossima
estate serrana la sagra "di fusilI e recchjetell"
prodotti da macchine, che hanno sostituito le abili mani delle nostre nonne:
Una vera pastasciutta serrana condita con i prodotti della nostra terra
e annaffiata dal vino dei nostri vigneti.
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