Chierico con poco pensiero
Caduto infermo di febbre gagliarda il primogenito dello stesso dottore
Giuseppe Masoni, "ch'era in abito clericale, ma con poco o niun pensiero
d'essere chierico, si ridusse a tal segno che, disperato dai medici, dava
manifesti indizi di avvicinarsi all'ultimo di sua vita.
Il padre, vedendo che ogni medicamento che gli applicava riusciva vano,
si recò al convento a ritrovare fra Matteo e "gli diede parte
dell'infermità pericolosa del figlio, per cui si sentiva accorare".
Il caritatevole religioso fra Matteo procurò di consolarlo, con
dargli speranza che sarebbe guarito e si portò con esso lui a visitarlo;
e lo ritrovò che respirava stentatamente, "come se avesse lo
spirito sulle labbra". Gli disse: "Sappiate, figliuolo mio,
che il Signore suol essere servito da voi nello stato ecclesiastico; e perciò
se mi promettete di sbandire dalla vostra mente quei giovanili pensieri,
che vi lusingano l'affetto coi diletti del mondo e di perseverare nell'abito,
che avete preso, Iddio vi guarirà".
Ciò sentendo, il giovinetto accettò di buona voglia il
partito e gli promise che avrebbe adempiuto il divin volere con ricevere
gli ordini sacri a suo tempo. Pigliò allora fra Matteo nelle mani
una crocettina del legno del Padre san Francesco, che portava appeso alla
corona e "radendo alquanto di polvere, gliela diede a bere in un poco
di acqua; estinguendogli con tale bevanda, più celeste che terrena
l'ardore febbrile, che gli restituì le forze prostrate".
Si levò incontanente il giovinetto dal letto; dopo breve tempo
andò a Napoli a studiar leggi e, conseguita la laurea del dottorato,
si fece promuovere agli ordini sacri, "osservando di punto la promessa
fatta al Signore" (o.c.,n. 102).
Figliolino mutolo
Non fu di minore meraviglia la grazia che ottenne il servo di Cristo
fra Matteo, con la forza delle sue orazioni, al figliolino della signora
Lucia di Marchetto, sua stretta parente.
Aveva questa partorito un bellissimo bambino; e, come devota ch'ella
era del serafico padre San Francesco e del glorioso Santo di Padova, gli
aveva fatto porre nel battesimo il nome di Francesco Antonio.
Cresceva il figliolino in bellezza e grazia ma, giunto all'età
di quattro anni, non avendo mai in quel tempo dato alcun segno di favella,
stimavano tutti che fosse mutolo. Ne sentiva la madre grandissimo cordoglio,
né sapeva qual rimedio umano applicargli, che gli potesse giovare.
Andato un giorno fra Matteo a visitarla, l'afflitta genitrice gli raccontò
il travaglio dell'animo suo per cagione della mutolezza del figlio, e, lagrimando,
lo scongiurò con ogni maggior affetto a pregare Iddio che, per consolazione
sua e del parentado, che ne sentiva grandissimo dispiacere, si degnasse
di concedergli la loquela.
S'intenerì il pietoso Padre alle lacrime della parente e, preso
nelle braccia il fanciullo, alzò gli occhi al cielo, implorando il
divino aiuto per lo scioglimento della di lui lingua; e poi lo benedisse
con tre segni dicroce: l'una alla fronte, l'altra alla bocca e la terza
al petto. Porgendolo, poi, alla madre, le disse: "Non dubitate, sorella,
ma abbiate fede in Dio benedetto, che ben presto sarete consolata".
E, partito da lei e ritornato al convento, si diede a pregare affettuosamente
il Signore, che si degnasse di sciogliere la lingua al fanciullino.
Non tardò punto la benignità divina a concedergli la supplicata
grazia, cominciando il putto dell'istesso momento ad articolare la voce
ed a favellare distintamente, chiamando per nome la mamma ed una sua sorella,
e dicendo altre parole. Onde tutta la casa si riempì di allegrezza
e di giubilo. E ne stupirono tutti quelli che poi intesero un tanto prodigio
(o.c., n.103).
Colombi tramortiti e denti addolorati
Essendo fra Matteo guardiano della Serra, capitò una sera alconvento
un gentiluomo d'Agnone, suo grandissimo amico e parente, da lui ricevuto
con dimostrazioni d'affetto non ordinario. Ma sapendo il buon padre che
in dispensa non vi era cosa alcuna "per accarezzare alla mensa"
il graditissimo ospite e né potendosi andare in paese per l'ora tarda,
di ciò ne sentì non poca afflizione. Fra Matteo si ritirò
in cella a recitare alcune sue solite orazioni ed a raccomandare al Signore
il bisogno dell'ospite, il quale per la lunghezza del cammino, benché
fatto a cavallo, era molto affannato.
Mentre pregava, quand'ecco all'improvviso il Servo di Dio udì
percossa impetuosa nella finestra, che gli cagionò sulle prime qualche
spavento. Ma, fattosi animo, aperte le imposte per vedere che fosse, "gli
entrarono nella stanza due bellissimi culombi e gli caddero tramortiti ai
piedi".
Stupì fra Matteo della "soave provvidenza" del Signore
e, levatili da terra li portò al cuciniere, perché li apparecchiasse
per la cena del forestiero (siccome fece prontamente) e ne ringraziò
affettuosamente il datore di tutti i beni (o.c.n. 104).
Trattenendosi Fra Matteo nello stesso convento della Serra, fu la signora
Antonia Egizia, devotissima dei Cappuccini, travagliata per due mesi continui
da gravissimo dolor di denti, per cui non potendo né riposare né
mangiar cosa alcuna se non con molta difficoltà; e perduto il sonno
e la quiete, smaniava senza poter trovare rimedio al suo male.
Ricordatasi che fra Matteo aveva risanato suo marito Lorenzo de Santis
dalla schinanzia, si portò un giorno frettolosamente al convento
e, fattolo chiamare nella chiesa, gli si buttò ai piedi, pregandolo
con molta fede a fare un segno della croce sopra i denti addolorati, protestando
di sperare che Dio col mezzo della sua benedizione e dei suoi meriti di
dover essere liberata dall'acerbatezza di quei dolori.
Frate Matteo "stette per qualche tempo resistente alle di lei replicate
istanze", scusandosi con dire di essere miserabilissimo" peccatore,
indegno d'ottenere alcuna grazia da Dio. Ma infine, "restando la carità
vincitrice dell'umiltà", frate Matteo si pose in orazione su
la predella dell'altare; e poco dopo, levatosi in piedi, "acceso
nella faccia del divino amore come un serafino", la benedisse col segno
da lei sospirato, dicendole: "Iddio vi conceda la grazia conforme alla
vostra fede". Subito, cessato il dolore, donna Antonia Egizia se ne
ritornò a casa tutta sana (o.c.,n. 105).
continua
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