Sedia santificata e occhio offeso
Compiuto il triennio di guardiania a Serracapriola, fra Matteo andò
con lo studio nel convento di Vasto: cosa che fu grandissima consolazione
a quelle Eccellenze, le quali "lo riverivano come un santo" ed
ottennero dal ministro provinciale che ivi predicasse la quaresima, come
fece "con grande applauso dei popoli e maggior frutto delle anime".
Sedia santificata e occhio offeso. Testifica Donna Isabella della Rovere
d'Avalos d'Aquino, marchesa del Vasto e di Pescara che, essendo sua madre
tormentata fieramente dal dolor di testa, un giorno andò a visitarla
frate Matteo. Dopo un discorso spirituale, licenziatosi da lei, tornò
in convento.
Non potendo più la madre della Marchesa resistere alle doglie
e stordimento del capo, né quasi reggersi in piedi, "fu ispirata
da Dio a baciare la sedia sopra di cui aveva seduto fra Matteo, facendosi
a credere che, per i di lui meriti, il Signore l'avrebbe guarita dal male".
Non restò punto delusa della speranza, però che, "baciatala
devotamente, ottenne subito quanto bramava", rendendo grazie infinite
alla Maestà divina, che concede virtù di operare così
grandi meraviglie a chi fedelmente lo serve (o.c., n.106).
La stessa signora Marchesa fece fede, come una creatura per nome Emilia
mentre era fanciulla, venendo a contesa con suo fratello, questi "sopramodo
stizzito", con una subbia che aveva nelle mani (che è una specie
di scarpello di pietra con punta quadrata) la tirò alla volta della
faccia e la colpì in un occbio, onde la meschina, fortemente gridando,
cadde per terra e restò come tramortita.
Corse la madre a quelle grida e, trovata la figliuola col volto pieno
di sangue, si diede a battersi il petto e a piangere disperatamente, temendo
non fosse offesa, anzi perduta la pupilla dell'occhio.
Sopraggiunse a questo accidente compassionevole fra Matteo e, intesa
la disgrazia, si sentì commuovere a gran pietà. Sollevando
poi la mente in Dio, fatto un segno di croce sopra l'occhio offeso della
fanciulla disse alla dolente madre di confidare nella divina benignità,
che non vi sarebbe stato altro.
Così appunto avvenne: si stagnò il sangue, si saldò
la ferita miracolosamente, senza restarvi altro segno che d'una molto piccola
cicatrice, la quale non la rendeva deforme, ma preconizzava ad alta voce
la grazia ottenuta da Dio per i meriti del suo Servo (o.c.,n. 107).
"Poco meno mostruoso"
Lattanzio Di Ciocco e Giovannella di Tuccio, marito e moglie, terrieri
di Agnone, persone onorate e comode, avevano un figliuol il quale per "infermità
di morviglioni" era quasi rimasto cieco d'ambedue gli occhi; e perché
l'offendeva finanche l'ombra del lume, lo tenevano già del continuo
tre anni a letto con "le cortine del padiglione serrate", perché
non arrivasse il chiaro a dargli fastidio.
Per lo starsi così lungo tempo all'oscuro con la testa sul capezzale
al figluol gli era nata "una certa lanuggine sopra la faccia, che lo
rendeva poco meno mostruoso". Pregato fra Matteo, guardiano ivi e lettore,
a visitarlo, vedendo quella misera creatura tanto disfigurata, quasi ne
pianse per compassione. Postosi ginocchioni davanti al letto, fece alquanto
d'orazione con le braccia stese in forma di croce.
Levatosi poi in piedi, "pigliò una caraffina di manna di
san Nicolò e con gran fede bagnò con essa gli occhi del fanciullo
e, nel voler partire", disse ai suoi genitori: "Miei cari,
abbiate confidenza in Dio, che essendo la sua bontà inclinata a consolare
gli afflitti massimamente quelli che, umiliati di cuore, ricorrono ad esso,
concederà a voi ancora il favore di figliuolo libero da questa cecità
così lagrimevole".
Fu veramente cosa mirabile, che l'istesso giorno l'infermo si levò
dal letto, e cominciò a discernere tutte le cose della casa distintamente
ed a camminare, da potersi portare il terzo giorno con la madre al convento
dei Cappuccini a ringraziar fra Matteo della sanità ricevuta.
Il servo di Dio, riferendo ogni bene e gloria in Dio e nel Santo di
Bari, ch'era stato il suo intercessore, applicò di nuovo la manna
agli occhi, nel quale istante gli si rischiarì maggiormente la vista
e la conservò perfettissima tutto il tempo della vita.
Accadde questo prodigio l'anno 1614 ed il fra Simeone da Orsara, che
fu guardiano nel convento d'Agnone nel 1626, afferma che il giovinetto andava
in quel tempo alla scuola di don Giovanni Domenico Totaro, rettore della
chiesa di Santa Margherita in Agnone, da cui gli fu raccontato il successo
che abbiamo riferito (o.c., n. 108).
Patria mia cara
Fra Matteo, dopo aver predicato in Agnone il primo quaresimale, di tempo
in tempo vi fece quattro eventi. Pregato a predicarvi un' altra volta in
tempo di quaresima, condiscese volentieri "alle istanze dei suoi patriotti";
ma nell'ultima predica che fece "passò il cuore di tutti con
l'acutissima punta di una orribile minaccia e fu profetico il suo dire".
Disse con le lacrime agli occhi: "Patria mia cara, Patria da me
teneramente amata nelle viscere di Cristo, mi dolgo, e grandemente mi dolgo,
che per quello che mi avveggo (e ne sento intollerabil dolore) sei venuta
per le tue scelleraggini abbominevoli negli occhi della Maestà Divina;
sì che non tarderai a restare percossa dal fiume del castigo del
Cielo che d'Agnone ti ridurrà ad essere un piccolo agnello. E quando
ti caderà in capo il flagello allora, ma tardi riconoscerai, le tue
gravissime colpe".
La predicazione di fra Matteo in breve si verificò. Tra quei paesani
nobili e plebei insorsero tante discordie e partiti, che venuti fra di loro
come ad una guerra civile, si ridussero a malissimo stato.
Inoltre, governando il Regno di Napoli don Pietro Girone, duca d'Ossune,
vi mandò in quel tempo a quartiere alcune compagnie di Valloni, "vivendo
insolentemente senza alcuna legge di militar disciplina, portandosi barbaramente",
distrussero quasi metà di Agnone; ed allora i Terrieri, rientrati
in se stessi, riconobbero le loro scelleratezze e confessarono che, conforme
alla minaccia di fra Matteo, erano meritatamente castigati da Dio (o.c.,
n. 109).
continua
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