LE REGOLE del dialetto serrano
Chèvezóne
Giuseppe Gentile

Chèvezóne, n. m.sing.-Calzoni, pantaloni. Una volta indumento d’uso esclusivamente maschile, caratterizzato dalla patta o brachetta (vrèchétte), l’apertura sul davanti con abbottonatura (sostituita dall’odierna e più comoda chiusura-lampo). Il nome deriva da Pantalone, personaggio della commedia dell’arte, che indossava pantaloni lunghi, differenti dai calzoni al ginocchio (polpe, fr. culotte) dell’Ancien régime, dettati dalla moda del tempo. Già nella seconda metà del 1800 ci fu in America da parte di Amelia Bloomer il tentativo di dare anche alla donna un abbigliamento pratico, proponendo dei pantaloni femminili alla turca da indossare sotto una gonna lunga fino al ginocchio. Ma l’equitazione e lo sport in genere iniziò a far diffondere questo capo di abbigliamento anche presso le donne fino a darlo, grazie all’unisex, oggi, al sesso “debole”, in parità con l’uomo, con la variante di una apertura su uno o due fianchi o della gonna a pantalone e dei blue-jeans attillatissimi. Nel tempo la moda ha diffuso vari modelli di pantaloni: alla zuava, ampi e a sbuffo, degli anni ‘40/’50, da equitazione (jodhpurs), a tubo di stufa (moda lanciata da Lord Brummell), fino agli odierni hip-hop, bracaloni molto larghi e trasandati, i Baggy a vita molto bassa che si appoggiano sulle anche e i fuseaux, elastici, stretti in vita e molto aderenti. In effetti tra le poche modifiche di dettaglio apportate ai pantaloni nel tempo bisogna considerare l’aggiunta dei risvolti (nel 1909 con EdoardoVII d’Inghilterra), oggi poco usati.
U mbuzècule ce chèléve i chèvezune e decéve: “T’èje pèghète, t’èje pèghète, t’èje pèghète”.




























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