LE REGOLE del dialetto serrano
Chemò
dal n.8 anno VII de "La Portella "Giuseppe Gentile

Chemò, n.m. – Comò – Cassettone - Canterano. Dal francese commode (da cui il diminutivo comodino, mobiletto che sta accanto al letto). Mobile con piano di legno o marmo a più cassetti, adibito alla conservazione della biancheria. Deriva dalla cassapanca o cassone, chèscióne, anticamente l’unico mobile della casa, dove si riponeva un po’ di tutto, dai viveri alla biancheria.
Nel Rinascimento iniziano a diffondersi i primi esemplari di cassettoni, ma il 1.600 ne ufficializza lo stile come mobile per contenere i vari indumenti e accessori da toilette.
Il Barocco invece oltre a dargli la funzionalità d’uso lo promuove come pezzo di arredamento nelle sale di rappresentanza. Viene costruito con ampollose decorazioni usando materiali pregiati: intarsi d’avorio, dorature, figure scolpite a tutto tondo. La ricchezza e il fasto delle decorazioni va oltre ogni limite.
Con il Rococò, nel 1.700, si alleggerisce, diventa più aggraziato ed elegante, arricchendosi di motivi floreali e intarsi. In questo periodo s’impone il cassettone veneziano laccato con vari colori. Nasce anche il settimino per custodire la biancheria da indossare giornalmente.
Nel neoclassicismo, sotto Luigi XVI, ritorna la sobrietà nei mobili. In questo periodo i migliori mobili italiani si costruiscono in Lombardia per mano dei fratelli Maggiolini, creatori di originali pezzi intarsiati con legni di noce, bosso, ebano, ciliegio, mogano, palissandro.
Napoleone porta con sé lo stile Impero. I comò, tipici delle camere da letto, spesso diventano arredi ornamentali nei salotti. Vengono costruiti a forma di parallelepipedo, dalla linea diritta, in mogano, ciliegio, frassino e noce. Le versioni più diffuse sono a tre cassetti: il primo, molto stretto, sotto il piano, sporge rispetto agli altri due sottostanti, più capaci e delimitati ai lati da lesene decorate nella parte superiore con testine neoclassiche o capitelli romani di legno. Il cassettone impero poggia su quattro piedi a dado o su zoccoli modanati.
L’eclettismo (1830-1900), che si diffonde nella seconda metà dell’800, fa rivivere gli stili del passato. In questa moda dei revival si costruiscono mobili ibridi, in stili copiati, liberamente interpretati e a volte mescolati tra loro. Da noi molti vecchi mobili rispecchiano queste caratteristiche.
A Serracapriola, come in tutti i paesi della zona, i falegnami si costruivano la mobilia per sé, quando mettevano su casa, e su richiesta per i clienti. Fra i tanti ricordiamo Michele Gallo e i figli Fortunato, Pietro, Armando e Guido che si specializzarono nella costruzione di mobili in legno massello e dopo la seconda guerra mondiale della mobilia impiallacciata con una prima macchina segatrice. I tronchi, ridotti a tavoloni ca trèvéne (prima della sega elettrica a nastro), si mettevano a stagionare accatastati. Questa stagionatura naturale, che durava oltre due anni, era la base essenziale su cui si fondava ogni buon lavoro. Per l’ebanisteria si lavorava il rovere a grana fine con fibre dritte e regolari; il ciliegio giallo rossastro e il nobilissimo noce nazionale, dal colore bruno più o meno chiaro in rapporto all’età della pianta. Ormai raro, questo legno (il noce rigatino o il fiammato) veniva tagliato a luna calante per evitare che si tarlasse o perdesse peso specifico. Esso rappresentava la più pregiata essenza nostrana per i nostri abilissimi ebanisti intagliatori. Il mobile che non doveva mancare in ogni casa era il comò. Almeno uno nella povera abitazione del contadino. Due e più nella sontuosa camera da letto del ricco proprietario terriero. Questi mobili, spesso intagliati o intarsiati, rispecchiano i vari stili o l’estro dell’artigiano che produceva dei pezzi unici irripetibili. L’intaglio a mano era accompagnato da pezzi lavorati con il tornio. Quando venne inventata la macchina intagliatrice, l’industria iniziò a produrre pannelli intagliati in serie che alcuni nostri falegnami utilizzavano nella costruzione dei loro mobili. Quindi nella valutazione di un vecchio mobile bisogna tener conto anche di questo aspetto.
Purtroppo la deperibilità dei materiali, causata anche dall’incuria, ma ancor più la vendita dei pezzi ai rigattieri, hanno portato alla distruzione e alla dispersione di gran parte di questo patrimonio. Tuttavia oggi la passione per l’antiquariato ha portato molti serrani a far restaurare i vecchi cassettoni dei nonni. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di pezzi in stile pugliese e napoletano che vanno dall’inizio dell’ottocento fino alla metà del 1900. A volte, anche se il gioco non vale la candela, in quanto il restauro viene a costare più del valore del mobile stesso, lo si fa per motivi di ricordi affettivi. È bene incoraggiare tale iniziativa per conservare in loco dei valori etnografici importanti. Ci sono parecchi esemplari di comò, nelle case museo paterne (ben restaurate) del dott. prof. Luigi Gatta e del rag. Geremia Pergola. Pezzi che hanno ritrovato vitalità con il restauro e che continuano a vivere negli stessi ambienti a loro familiari. Alcuni sono in stile cappuccino di ciliegio o noce nazionale, a tre cassetti, di cui il primo, lavorato, più sporgente e stretto degli altri due, lisci e ampi. Le due lesene sono scanalate e poggiano su gambe sagomate. Sono i tipici mobili della nostra zona dalla linea sobria e gradevole.
Anche i comodini fanno storia accanto ai letti. Essi nascono come tavolini da notte con antine e cassetti settecenteschi. In seguito per la loro utilità furono costruiti mobiletti più elaborati appositamente per la camera da letto, di solito in coppia seguendo lo stile del letto o del cassettone. Tra le tipologie dei secoli XVIII e XIX le più diffuse sono due: una con alte gambe, a sezione quadrata, su cui poggia un corpo quadrato o rettangolare con un’antina sul fronte; l’altra, di fattura ottocentesca ha un corpo rettangolare, che poggia su corti piedi a zoccolo, con un piccolo cassetto sotto il piano di marmo e uno sportello su tutto il fronte, le lesene tornite o intagliate completano la decorazione.
Non mancano pezzi del modernariato (comò e comodini impiallacciati in radica), forniti dall’industria in serie, che hanno arredato le camere da letto di tante famiglie serrane negli anni che vanno dal 1930 al 1950.
Oggi a Serracapriola, il maestro falegname Antonio D’Alonzo riproduce i mobili della nonna che si possono ammirare in via Solforino nell’esposizione “Antica Bottega dell’Arte Povera di “mastroantonio d’alonzo”.




























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