Sembra che insediamenti umani in Serracapriola risalgano al VI millennio a.C., si conoscono villaggi d’epoca neolitica antica (Settimo di Grotte, Masseria dell’Ischia e S. Matteo Chiantinelle), dell’età del Bronzo (Colle di Creta, Cantalupo-Tre Ponti, Piano Navuccio-Belvedere dei Preti e Macello-Convento).
Fra il V ed il VI sec. a.c., l’agro di Serracapriola era un’area di confine e periferica del territorio dei Dauni, gestito dalla città di Tiati (i resti sono situati su un colle adiacente al fiume Fortore a pochi km dall’odierna S. Paolo Civitate), per controllare i traffici commerciali fra Abruzzo, Molise e Tavoliere delle Puglie. Tiati, probabilmente, assumeva la funzione di caposaldo in tutto il sistema di difesa del fronte occidentale dauno.
Una relazione scritta nel 1931 dal podestà dell’epoca,
Vincenzo Castelnuovo, in occasione di lavori per l’edilizia e per la posa di tubature dell’acquedotto, parla di resti, rinvenuti nella zona del convento dei frati cappuccini, risalenti ad un insediamento di civiltà ellenistica del IV-III sec. a.C.
Nello stesso periodo, per l’esattezza verso la fine delle guerre Sannite, Serra fu meta di movimenti migratori da parte di genti di lingua Osca, Tosca o Etrusca provenienti dalle zone appenniniche, fra cui i Frentani. Nel IV sec. d.C., con la creazione della provincia del Samnium, il territorio di Tiati, e quindi anche Serracapriola, entra a far parte delle Civitates regionis Samnii.
I resti di tale necropoli Italica, con armi e ceramiche, sono conservate al Museo Nazionale di Taranto.

All’epoca i Frentani, occupavano un’area che andava dall’attuale fiume Pescara fino al Fortore raggiungendo il mare Adriatico.
Per chi non ne fosse a conoscenza, il Fortore, era detto in antichità "Frentum" e sull’origine del nome si è sempre discusso.
Gli studi hanno raggiunto la teoria, secondo la quale tale fiume avesse preso il nome da una città situata nelle vicinanze e in altre parole la famosa "urbs Frentana", in cui sorgeva la rocca omonima, situata su un’altura alla destra del fiume: c'è chi l'attribuisce a Serracapriola.
Certo è che trattandosi di un luogo di principale importanza, avrebbe dovuto richiamare l’attenzione di esperti in materia, cosa che non è accaduta; in ogni caso tale paternità, fondata o no, è tuttora oggetto di contesa con la vicina città di Larino.
In realtà fino a qualche decennio fa, prima che fossero stati ricoperti dall'asfalto, “drete u castell” nei pressi di
quella che era la porta di S. Fortunato, erano visibili dei resti di una fortificazione dalla forma circolare in opus incertum, forse la rocca Frentana, come vuole la tradizione. La teoria di un posto d'osservazione è confermata da resti attribuibili all’età del bronzo, nei pressi dell’attuale Chiesa di S. Mercurio.
Alla fine della seconda guerra Sannitica, Tiati (o Teanum Apulum) concluse un feudus iniquum con Roma, diventandone civitas foederata e l’agro di Serracapriola seguì, come emerge dalla configurazione che assume il sistema viario, le sorti di tutto il territorio Teatino diventando parte dell’ager publicus populi Romani.
Sulla riva sinistra del Fortore, in particolare a nord e a sud di Serracapriola, il reticolo stradale orientato da nord-ovest a sud-est, suggerisce un’ipotesi di lottizzazione del terreno.
A nord di Serra, scorreva una Strada Consolare chiamata Tiburtina o Valeria Claudia Traianea Frentana (la strada Litoranea) perché da Tivoli a Cerfennia fu costruita dal console Valerio, da Cerfennia ad Aterno dall'imperatore Claudio e da Pescara attraverso la Frentania fino a Tiati (poi Civitate) dall’imperatore Traiano.
L’area è interessata da ben tredici tracce di strade e da numerose fattorie e ville rustiche (la più famosa è Masseria Grotta Vecchia in località “Tronco”).
Non solo, ai piedi della collina dove sorge Serracapriola, il Tratturo si dirama per diverse vie disegnando una sorta di svastica a tre punte: una si dirige verso Foggia, un’altra verso i paesi molisani e più precisamente a S. Croce di Magliano, l’ultima si biforca per Ururi e S. Martino.
Il tratturo era la grande arteria che metteva in comunicazione gli Abruzzi con la Capitanata percorrendo monti, vallate e mare, le vie-autostrade d'erba per la transumanza, che tanta importanza hanno avuto nella nostra storia.
Percorrendo i tratturi c'è la possibilità di visitare numerosi casali rurali, talvolta antichi di secoli e che si presentano come veri e propri piccoli castelli difensivi.
Poco lontano da Serracapriola, presso il fiume Fortore, si trovano i ruderi di un enorme fabbricato in pietra dove sostavano i pastori e li si trova ancora una lapide che riporta le tariffe dovute per il transito di bestie e merci: non pagavano il pedaggio i sacerdoti e le meretrici.
Sempre nella stessa zona, poco lontano, sono visibili i piloni dell'antico ponte romano sul fortore, il Ponte di Traiano.
Una depressione sembra testimoniare l'antica presenza di un porto fluviale.
I Frentani, si federarono con Roma nel 449, fornendo aiuto per diverse battaglie fino a quando, sopraffatto il colosso dell’Impero Romano, i Barbari, provenienti da Nord, saccheggiarono e distrussero tutto ciò che incontrarono.
Lungo la Via Valeria transitarono gli Eruli, Goti, Ostrogoti, Franchi, Alemanni, Longobardi, Slavi, Saraceni, fu indubbiamente allora che la rocca Frentana fu atterrata anche perché si trattava dell’unico punto che potesse essere loro d’ostacolo nel battere qualche ritirata.

Le origini urbane
Le origini urbane di Serracapriola non hanno un inquadramento storico ben preciso, infatti, l’unica data a disposizione è quella del 947 d.C. che segna la
distruzione della famosa città romana di Tiati - Teanum Apulum da parte degli Unni.
Da quell’evento si può ipotizzare che non ci fosse in Serra una vera e propria cittadina, anzi, come afferma lo storico serrano Alfredo De Luca, è molto probabile che l’insediamento urbano di Serracapriola nacque dopo quella data intorno ad un’opera fortificata, che rappresentava, grazie alla posizione collinare, un osservatorio per scrutare qualsiasi pericolo nelle vallate vicine. Secondo quanto scrive il De Leonardis, rasa al suolo Tiati, gli abitanti risparmiati dalla spada dei vincitori, si trasferirono a Serracapriola, dove realizzarono la meravigliosa torre dai quattro angoli acuti e quattro retti (1019).
Anticamente su un distico leonino, posto su un muro di S. Maria in Silvis era scritto testualmente: “Mille anni Domini, ter tres, bis quinque fuerunt, Cum patres nostri hoc Oppidum condiduerunt”, che significa: “Nell'anno del Signore 1019, i nostri padri costruirono il castello”.
I lavori continuarono fino al 1200 realizzando un’architettura singolarissima ed unica nel suo genere in tutte le opere italiane di quel periodo; difatti esempi articolati in quella maniera se ne ritrovano solo nei secoli successivi in costruzioni civili - militari - religiosi del XVI sec., specie nella penisola centrale.
La guerra bizantino - gotica (535-553) segnò per la Puglia intera l’età più buia del Medioevo.
La pace raggiunta dalla vittoria bizantina nel 552 durò pochi decenni fino all’arrivo dei Longobardi, che fissarono la loro capitale a Benevento nel 590 e occuparono la Daunia.

Il territorio compreso fra il Biferno ed il Fortore, passò più volte tra il dominio Bizantino e Longobardo.
Agli albori dell’anno Mille, nel 1038, Serracapriola assolveva la funzione di sentinella longobarda contro i Bizantini d’oltre Fortore.
Nella prima metà del XI secolo s’intensificarono ribellioni in tutto il Tavoliere bizantino, specie nelle città marittime che avevano subito l’interruzione delle comunicazioni e dei commerci con l’Oriente.
Ad appoggiare i pugliesi nelle lotte furono i Normanni che vinsero i Bizantini nel 1041.
Ad opporsi ai Normanni fu anche il papa Leone IX, sconfitto nel giugno del 1053 presso Civitate, fu fatto prigioniero a Benevento.
In poco tempo i Normanni cambiarono atteggiamento diventando vassalli della Chiesa; in questo modo assunsero molto potere ed allargarono i loro domini. Solo sotto Federico II la Puglia conobbe nella prima metà del 1200 uno dei periodi più luminosi della sua storia, lungo tutta la regione sono sparsi i ricordi monumentali di Federico e di suo figlio Manfredi: chiese, palazzi, costruzioni militari, castelli. Il Castello di Serracapriola, con più precisione la torre ottagonale, faceva parte dell’asse difensivo federiciano composto dalle vedette di Termoli - Serracapriola - Lucera che in linea d’aria sono perfettamente in asse ed erano i punti strategici da cui osservare i confini del Regno.
Ciononostante il nostro paese vide nel 1211 i Veneziani distruggere il casale di S. Leuci, località poco lontana, dopo aver dato a ferro e fuoco Vasto e Termoli (in quegli anni Federico II era morto e Manfredi dovette soccombere a Carlo I d’Angiò).
Si susseguirono guerre, passaggi d’uomini illustri come Luigi I d’Angiò, Ferdinando I, quest’ultimo, alleato con la Chiesa, gli Sforza di Milano e con un principe albanese riuscì ad impadronirsi di mezza regione (1400) e per riconoscenza donò agli Sforza il feudo di Serracapriola e a Skanderberg quello di Chieuti (cittadina vicina d’origine albanese formatasi in seguito all’invasione Mussulmana in Albania).
Nel 1567 Pialy Bassà di Solimano assediò Serracapriola ma prima saccheggiò, il centro fortificato di Santagata situata a “48 stadi dal Fortore”.
Forse in quell'occasione che fu distrutta l’antica Gaudia, o Guadia o Civita a Mare, posta a pochi passi dal mare su un cumulo di sabbia, il cui attracco marittimo era la celebre Torremozza, di cui sono ancora visibili i resti.
Sperando in bottini più consistenti gli Ottomani si spinsero nella “città murata” i cui cittadini risposero combattendo valorosamente.
Nello scontro armato i mussulmani catturati furono tenuti prigionieri, si narra che le teste di quei prigionieri furono messe davanti ogni porta cittadina per dimostrare il valore degli abitanti.
Alcuni Turchi, tornando alle navi scapparono, altri superstiti diedero fuoco alla città e, passando per il monastero dei PP. Cappuccini, ne misero a soqquadro la chiesetta da pochi anni costruita (1536).
Da quella tappa continuarono a scappare prendendo la via del ritorno, verso il mare ma, gli invasori, rimasti “appiedati” andarono a popolare i paesi vicini.