Un libretto molto erudito
  Padre Matteo non contento di ammaestrare i novizi con l'esempio e la lingua, vi impiegava ancora la penna. Compose "un libretto molto erudito ed affettuoso di quarantacinque motivi spirituali", per sradicare dal cuore ogni terrena affezione sollevarlo al Cielo ed unirlo col suo primo principio ed ultimo fine, ch'è Dio.
  A volte li leggeva lo stesso Padre Matteo ai novizi, tal'altra li dava loro da leggere nella cella con non poco loro profitto.
 Padre Matteo compose anche "alcune proteste da farsi nel tempo della morte" e le recitava ogni giorno, "come se ciascuno essere dovesse l'ultimo della sua vita". E nel farle Padre Matteo voleva che i novizi si esercitassero "assiduamente", perché "con la continua memoria e profonda meditazione della morte resistessero gagliardamente agli assalti del nemico infernale e dagli incentivi del senso, dai quali vengono sovente staccati i giovani dal seno della Religione; e si apparecchiassero alla venuta delSignore, che noi sappiamo - diceva - quando sia per essere, se tardi o per tempo" (o.c., n. 88), come il seguente fatto lo dimostra.

 

Accettereste?...
 Dimorando nel noviziato di Vasto, un dopo vespro Padre Matteo congregò i novizi alla conferenza spirituale e facendo a ciascuno di loro un quesito di varie materie, dopo di aver fissato gli occhi sul viso d'uno di essi, per nome Agostino della terra di Casacalenda, "di sana e robusta complessione", gli fece questa interrogazione: "Ditemi, figlio, sinceramente: se ora il Signore vi chiamasse all'altra vita, accettereste voi di buona voglia l'invito?".
  "Padre sì, molto volentieri - rispose il giovine - perché confiderei ch'egli fosse per usar meco delle sue misericordie".
 "Avreste ben ragione di farlo - soggiunse il maestro - dopoché là dove noi con molta fatica e lunghezza di tempo speriamo di conseguire con l'aiuto della grazia divina la gloria del Paradiso, voi con poco stento ed in pochi giorni vi arriverete. State dunque preparato e frequentate con dolore dei vostri peccati, e con divozione, le proteste".
 Era quel giorno l'antivigilia della Madonna degli Angeli, e venuta la festa pigliò il novizio divotamente l'indulgenza. Caduto, poi, infermo all'improvviso il novizio fra Agostino da Casacalenda rendette "in termini di poche ore", con gran divozione e sentimento, il suo spirito a Dio (cf. o.c., n. 89).

 

Da Maestro a Lettore
  Dal magistero dei novizi Padre Matteo passò al lettorato, cioè all'insegnamento, e gli fu consegnato un buon numero di studenti, "acciocché fosse lor guida nella via dello spirito e maestro nelle scienze".
  A questo punto si applicò con molta sollecitudine; eperché Padre Matteo era d'intelletto "perspicacissimo", aveva talento di spiegare le "più difficili questioni" che sogliono agitarsi, sia in filosofia che in teologia, "con maravigliosa facilità e chiarezza", da essere inteso da tutti "con niuna o poca difficoltà"; e dava in iscritto le lezioni "con tal'ordine, tessitura e delucidazione che non lasciava senza dubbio alcuno indeciso" (cf. o.c., n. 90).
  Sebbene esercitasse nelle dottrine, in modo da poter andare "del pari coi primi soggetti della Religione", Padre Matteo si stimava "il più ignorante di tutti, per l'affetto che portava all'umiltà, la quale pareva avesse posto il suo seggio nel di lui cuore".
 Un giorno andato a visitare don Cesare Gonzaga, principe di Guastalla e Molfetta, che di quei tempi si tratteneva nella terra di Serracapriola, "intendentissimo di materie filosofiche", questo signore, "inteso per fama quanta fosse la dottrina di Padre Matteo", entrò seco a discorrere di filosofia "con molti dubbi e quesiti", ai quali il servo di Cristo rispose "con sodezza, riverenza e modestia".
 II Principe restò "soddisfattissimo" del suo sapere ed "edificatissimo" della sua umiltà; onde subito che l'ebbe licenziato cortesemente, disse ai suoi cortigiani: "Questo Padre è così dotto, virtuoso e modesto, che parmi non abbia Adamo peccato in lui" (o.c.,n.90).

 

Sul candeliere della prelatura
 Terminata con molta lode la "lettura" (cioè l'insegnamento), Padre Matteo pensava a godere un poco di quiete, col desiderio di ritirarsi in qualche convento solitario, per attendere alla contemplazione delle cose celesti, ed invece nel capitolo provinciale fu promosso al governo della Provincia.
 Restò egli per questa elezione "sopramodo afflitto e sconsolato", non solamente perché "bramava più d'essere suddito e d'ubbidire, che Prelato, e di comandare", ma perché con tale promozione gli veniva tolto di poter vivere solitariamente e d'apparecchiarsi alla morte.
  Con tutto ciò, rassegnandosi nel divino volere, "sottopose il collo al giogo della prelatura" ed esercitò la carica impostagli con esempi così preclari d'ottimo superiore, che poteva servir di modello anche ai più virtuosi e perfetti.Molta prudenza nel maneggio dei negozi; somma vigilanza nel custodire qual pastore fedele la "greggia religiosa"; perspicace accortezza nel prevedere e provvedere ai bisogni dei conventi; ardente zelo nel castigare "i difettosi e duri di testa"; dolce piacevolezza nel perdonare quelli che prontamente si umiliavano. Così si comportava Padre Matteo, "oltre alla celeste sapienza, la quale mostrava in tutte le sue azioni, con cui si conciliava l'amore e la riverenza dei sudditi".
 In Padre Matteo provinciale risplendeva tanta umiltà, che senza punto stimarsi più degli altri perché posto sul "candeliere della prelatura", trattava con gl'inferiori, conforme al consiglio del Savio, come se fosse stato uno di loro, anzi "il più basso di tutti": frequenza al coro, orazione mentale assieme agli altri, cibi comuni senza permettere che per la fatica della visita gli si facesse "alcuna particolarità"; e più volte fu trovato, prima della sveglia mattutina, "lavar le scodelle ed altri vasi della cucina, ch'erano restati immondi la sera avanti, con recitare nel mentre salmi ed altre orazioni" (o.c., n.91).

continua