Solo il Santissimo
  Portava somma riverenza al Santissimo Sacramento, contemplando sotto le specie sacramentali il Verbo Incarnato, vero Figlio di Dio, fatto cibo dei viatori per salute delle anime. Padre Matteo procurava di stare sempre alla sua presenza con le ginocchia a terra; voleva che le tovaglie dell'altare fossero mondissime, candidissimi i purificatoi ed i corporali; i paramenti e le vesti sacerdotali ornate, quando lo potevano essere "senza pregiudizio dell'altissima povertà"; e che tutte le altre cose destinate al culto divino si tenessero con ogni decenza, come che "si adoperavano in servigio non d'un principe della terra - le cui suppellettili nientemeno si conservavano con molto rispetto - ma del Monarca de' Cieli".
  Ottenuta la dispensa dell'omicidio e promosso sacerdote, benché contro sua voglia, non si potrebbe dire con quanta diligenza padre Matteo si apparecchiasse ogni giorno ad offrire al Signore il divinissimo sacrificio della Messa, né con quanta umiltà, riverenza e divozione s'accostasse all'altare; era solito d'esaminare più volte al giorno la coscienza e di "portar seco nella manica un librettino di memoria, in cui notava i difetti quotidiani per confessarsene distintamente ogni mattina". Dopo la confessione sacramentale, spendeva almeno un'ora di tempo in orazione e meditazione, per lo più intorno ai misteri della dolorosa Passione del Salvatore, "per poterli rappresentare con animo divoto e compassionevole su la scena del sagro Altare". Una volta, dopo aver celebrato, padre Matteo - benché con molta difficoltà per i dolori della podagra - uscito dal coro per andare alla cella, appoggiato ad un bastoncello, sentì la campanella del Sanctus e si fece forza per tornare indietro. Un frate, mosso da caritativa compassione, gli disse che non si pigliasse incomodo, che il Signore sarebbe restato soddisfatto del suo divoto affetto. Padre Matteo gli rispose in fervore di spirito: "Oh figlio! i Re Magi, tanto lodati nella Sacra Scrittura, camminarono dodici giornate dall'Oriente in Bethelemme con tante loro fatiche e stenti, per condursi a riverire e adorare il nato Bambino; e noi che ne siamo solo a quattro passi discosti, non andremo ad adorarlo?".
 E ciò dicendo si spinse con prestezza nella cappella, ove si celebrava la Messa, all'adorazione del Santissimo Sacramento. Un'altra volta, dimorando di famiglia in Agnone, padre Matteo convenne con gli altri frati alla processione del Santissimo nel giorno della sua festa, celebrata solennemente "con grande apparato di tappezzerie, di quadri ed archi trionfali". Ritomato al convento ed interrogato da un frate, come gli fossero piaciuti quegli addobbi così maestosi delle strade e delle chiese, padre Matteo, sorridendo e con la sua solita modestia: "Fratel mio - rispose - Altro non ho veduto che il Santissimo, il quale sempre ho portato avanti gli occhi della mia mente, e poco mi sono curato di mirare cosa alcuna terrena".
  E disse il vero, però che da più secolari fu osservato, ch'egli fece tutto quel giro di processione "con tanta compassione dell'uomo esteriore e mortificazione d'occhi, che non gli alzò mai da terra"; onde ne restarono grandemente edificati.
 Celebrando padre Matteo, una volta fra l'altre, nella nostra chiesa d'Agnone, dopo d'essersi comunicato, "gli fu veduta risplender la faccia a guisa di sole"; ed un'altra, dicendo Messa alle monache di santa Chiara della medesimaTerra, ritrovandosi presente don Antonio de Leonardis, rettore di sant'Amico e cappellano regio dell'Eccellenza di Stigliano, "gli vide il volto circondato di lucidissimi raggi" e ne fece fede autentica (o.c., nn.70, 71, 72).

continua