I contadini per il loro lavoro si servivano di cavalli, asini, muli,
bardotti. Convivevano con loro nella buona e cattiva sorte. Le stalle comunicavano
con le case e, quando queste erano degli angusti bassi, gli asini o i muli
trovavano posto in angoli, delimitati da divisori di legno, tèvelète.
I cavalli da tiro più diffusi erano il risultato di incroci delle
varie razze. Essi, a differenza di quelli selvaggi, che avevano quasi tutti
il manto scuro-isabella e nero alle gambe, variavano nel colore del
pelo. Il morello murgese, le cui origini risalgono all'epoca della
dominazione spagnola, ancora oggi allevato nella zona delle Murge tra Taranto,
Bari e Brindisi, può essere considerato il tipico cavallo italiano
a più impieghi. I tipi di mantelli più diffusi erano: il morello
nero vivo splendente: il sauro, fulvo rossiccio: il baio,
rossastro e nero alle estremità; il sorcino, grigio cenere
e nero alle estremità: il pomellato, sturn,
macchie più chiare o scure del fondo. Completavano la varietà
i rari cavalli bianchi. Il pelo subiva variazioni in rapporto alla stagione,
all'età, al vitto, allo stato di salute, al modo di governarlo.
Si credeva erroneamente che dal colore del manto del cavallo si potesse
desumere l'indole. In genere questi animali da fatica, dal temperamento
muscolare, con poca sensibilità, non appariscenti e fieri come i
famosi cavalli arabi, ma forti e robusti, erano docili ed obbedienti
alla voce del padrone, che comunicava con loro, come si fa con persone di
famiglia a cui si vuole bene.
Lasciati allo stato brado. al pascolo, ruminavano le erbe più
adatte, preferendo la lupitella selvatica. Pulitissimi, bevevano
soltanto acqua limpida, e impiegavano molto tempo a strofinarsi contro i
tronchi degli alberi. Nella stalla, all'ora del pasto nitrivano e raspavano
ad intervalli il pavimento, allungavano il collo e guardavano intorno, impazienti.
Ci pensava il padrone ad ammanire l'avena e la paglia o il
loro alimento preferito, la ferrana: un miscuglio di fave, piselli,
letiticchie,. vecce, con un po' di cereali. Spesso li strigliavacu
brùscecone e nitriti di gratitudine lo incoraggiavano a
continuare.
Gli asini non avevano lo stesso trattamento dei cavaIli, forse
per l'ingiusta nomea di essere considerati buricchi, ciuchi, somari, ciucci.
Ma il contadino più indigente, che possedeva un solo discendente
dell'onagro (asino selvatico asiatico, probabile capostipite del
nostro quadrupede) lo stimava come persona di famiglia, anche perché
condivideva la sua stessa abitazione. Per rafforzare questa verità
si lasciava andare a colorite ed efficaci similitudini: - Cumpà,
a ciuccè mi à tèngh còmé n'àcene
d'uve.- Riferendosi alla sua asina sempre ben curata, integra, soda
e pulita come un acino d'uva. In effetti questo animale, che per secoli
è stato definito pigro e tondo, in realtà è intelligente,
molto furbo e prudente. È soltanto un filosofo, un calcolatore. Prima
di fare qualcosa, medita a lungo e poi la realizza senza fretta. Questo
viene scambiato per caparbietà. Difetto a volte dell'uomo: come di
quel contadino che non desisteva dal tentare di far bere il suo ciuco al
collo dell'orcio, cìcìne. Invece il nostro eroe
è ubbidiente, sobrio, rustico e si nutre di cibi grossolani e di
foraggi di scarto. Dalle razze italiane più note, di Martina Franca,
originaria delle Murge, di Bagnoregio, nel Viterbese, di Ragusa
e di Pantelleria, con incroci si ottenevano i tanti asini dal manto
morello o grigio, che popolavano il territorio di Serracapriola.
In primavcra, vicino ai pozzi, gli asinelli degli acquaioli, eccitati
dalla presenza di qualche femmina, si azzuffavano, e a farne le spese erano
i barili che si sconquassavano: i ciucce c'èffèrrene
e i vèrile ce sfàscene. Episodi analoghi avvenivano
spesso, rendendo irriconoscibili i pazienti quadrupedi. Si racconta di un
maschio, che avendo annusato il profumo di una femmina in calore, inferocito,
stava per coprirla ngrùppè: a mala pena alcune
contadine, forse per spirito di corpo, chi furcenèll
riuscirono a spostare l'enorme membro dal naturale sito.
Ma la monta ufficiale, fino agli anni 70 circa, si realizzava nella Stazione
di riproduzione, diretta dal veterinario dott. Gabriele Giannubilo,
prima presso l'oliveto Pilolli, poi in contrada Piano Annaucci, nella masseria
Scaletti, dove c'erano cinque stalloni (un murgese, un pugliese,
un francese, un mezzo sangue arabo e un asino di Martina Franca) mandati
dallo Stato per il mantenimento delle razze. I contadini portavano le cavalle,
jumènte, o le asine e il palafreniere, un caporale dell'esercito,
guidava l'accoppiamento. In un anno si coprirono 525 fattrici. Avveniva
cosi la riproduzione di animali della stessa specie o ibrida.
ll mulo aveva per padre l'asino e la giumenta per madre, mentre
il bardotto per padre il cavallo e l'asina per madre. Tra i due il
primo era (il verbo al passato indica la scomparsa di questi animali nel
nostro agro) il classico animale da soma, infecondo, più resistente
del cavallo, adatto a percorrere viottoli impervi, le mulattiere.
La mula era più adatta alla cavalcatura. I nostri carbonai usavano
queste bestie da soma per il loro lavoro.
L'esperienza, sia tra gli animali di razze diverse, ma della stessa specie,
sia per la produzione ibrida, ha dimostrato che i figli, vènnine,
somigliavano più al padre per la conformazione generale, le membra,
le qualità. e alla madre più per la conformazione del corpo
e la statura.
In Puglia nell'anno 1989 la ripartizione di cavalli e asini
stalloni, funzionanti per razza e consistenza era così suddivisa:
sella 10, agricoli italiani 13, bretoni 7 ,murgesi
41; asini di Martina Franca 11. Nello stesso anno c'erano
due stazioni di monta presso la M. Porcareccia in agro di Chieuti e presso
la M. Difensola in agro di San Paolo Civitate.
ll culmine della compra-vendita di questi animali da tiro avveniva nella
fiera di S. Rosalia. I nostri esperti contadini sceglievano i puledri,
pullitre, in buona salute: dalla criniera lucente e forte,
dai peli lisci, untuosi e lucidi, dal portamento allegro e vivace con la
testa alta e la coda sollevata, dalla bocca carnicina, dalla mucosa nasale
rosea, lucida. umida e fresca.
Oggi, pastori a parte, a causa della meccanizzazione dell'agricoltura,
sono restati due contadini, con gli animali da tiro e da soma. D'Onofrio
Corradino con il suo asinello e Vaccarella Fortunato con la giumenta,
che ha sostituito stellina, deceduta a 28 anni il 10/5/95, continuano il
loro bucolico quanto anacronistico lavoro.
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