filmato: Dalle olive all'olio

Nella storia dell'umanità la coltivazione degli alberi da frutta avvenne trecento anni dopo quella del grano, sempre nella zona del vicino Oriente, con piantagioni di olivi, viti, fichi e palme da dattero.
 È probabile che nell'agro di Serracapriola i primi olivi siano stati piantati nell'anno 1.000 quando i Longobardi stimolavano nei coloni la coltura dell'olivo insieme con la vite. I grossi proprietari terrieri per diffondere questo albero offrivano a laboriosi braccianti di fiducia dei terreni in godimento con l'obbligo di trasformarli in oliveti e vigneti (Enfiteusi).
 I nostri terreni olivetati derivano fondamentalmente da un substrato geologico del Pliocene, denominato "Sabbie di Serracapriola", che diede origine a terreni sabbiosi-limosi-argillosi. Oltre ai terreni anche le temperature sono ottimali per la coltura di cui trattasi, anche se raramente si sono verificate delle gelate.
 In tale variabilità pedologica l'olivo ha seguito la storia della viticoltura locale. Infatti, all'inizio del secolo ed a seguito dell'infestazione fillosserica, con l'impianto dei nuovi vigneti venivano messi a dimora anche piantoni di olivo (perènzune) innestati. Poi quando alcune vigne invecchiavano e venivano estirpate al loro posto si piantavano altri "perenzune".
 Un decreto legge luogotenenziale del 27/7/1945 dava nuovo impulso al ripopolamento degli oliveti. Ancora oggi in vigore, questa legge vieta di estirpare gli olivi e penalizza il contravventore con un'ammenda pari al decuplo del valore della pianta sradicata. Con le nuove disposizioni, dopo aver chiesto l'autorizzazione all'Ispettorato Agrario, si possono estirpare il 5% degli olivi malati o bruciati con l'obbligo del reimpianto di nuovi piantoni.
 Nel 1956 infoltivano i pendii della nostra collina HA 676 di terreni olivetati e HA 192 di oliveti-vigneti. Dal 1950 al 1970 anche la località Boccadoro è stata vivificata con molti altri oliveti. Nel 1986 la superficie olivetata del nostro agro era di HA 1.400 (Da un'indagine di A. Finizio). Nel 1990 è stato censito nel nostro Comune un numero di aziende e di superfici olivetate molto più basso rispetto at 1982.
 Dopo il 1970 con l'emigrazione e con la crescita del costo della manodopera continua l'abbandono degli oliveti, iniziato nel 1915 a vantaggio della cerealicoltura. Poi la disaffezione all'olio d'oliva propagandata anche da alcuni medici a favore dei vari oli di semi (prodotti preparati sottoponendo i semi a pressioni elevatissime) ha contribuito alla caduta del prodotto.
 Serracapriola ha un' agricoltura ricca di terreni fertilissimi, di mezzi e di capitali, per cui le colture che necessitano di maggiore impegno fisico e di cure continue, vengono trascurate fino all'abbandono.
 Oggi nel nostro agro su HA 14.500 di terreni coltivati 1.200 sono olivetati. Bisogna dire che nonostante lo sradicamento incontrollato di molti oliveti c'è una lenta ripresa per la coltura di questi alberi.
 Per quanto attiene le varietà delle olive da noi prevale la Provenzale, segue la Rosciole, la Frantoiano, la Moraiolo, la Leccino, la Cellina e la Selvaggia che, prodotta dall'olivo selvatico, dà un olio pregevolissimo. Anticamente negli oliveti dei ricchi proprietari ci dovevano essere sempre alcuni alberi di celline (olive piccole e lunghe, difficoltose da cogliere perché radicate ai rami) che danno un olio con un aroma caratteristico, amarognolo, con cui si tagliava il quantitativo maggiore del prodotto.
 Intanto arrivava il periodo della raccolta. La prima era fatta di olive cadute e di scarto (de ndèrre). A questa raccolta, che forniva olio per le lucerne e permetteva la saponificazione, ne seguiva un'altra fatta da donne e ragazzi (èceniè) anche questa volta di olive di casco da cui si ricavava un olio più scadente. E finalmente a Novembre ogni contadino con tutta la famiglia partecipava alla raccolta vera e propria, da cui si ricavava il prezioso olio vergine di oliva. Si stendevano sotto gli alberi "i rachene" che servivano a raccogliere le olive che venivano fatte cadere dalle lunghe scale di castagno con le dita a pettine protette da nastro isolante.
 Fino al 1970 questa coltura rendeva molto al contadino. Tanto, che si diceva "A culè nére ppére i palle". Cioè con la vendita delle olive si pareggiavano i conti se fosse capitata una scarsa raccolta di grano.
 Tale tipo di lavoro richiede molto tempo. Oggi la raccolta è restata manuale con brucatura sull'albero, anche se si usano rastrelli di plastica ed attrezzature pneumatiche. Con quello che costa la manodopera vi sono grossi problemi per i proprietari che sono costretti a vendere le olive ad un prezzo di gran lunga inferiore al costo della manodopera, per cui alcuni lasciano marcire quintali di olive piuttosto che venderle sottoprezzo. La fretta, anche se motivata, porta i contadini a raccogliere il prodotto a metà ottobre, prima della sua completa maturazione, ma, si sa che soltanto i frutti maturi contengono le sostanze organolettiche necessarie per dare un olio pregevole. La raccolta in forma meccanizzata con macchine scuotitrici-raccoglitrici non viene praticata da noi.
 Anni fa prima di arrivare alla trasformazione le olive sostavano nei "camini" dei "trèppite" parecchi giorni e tanto erano impastate che dovevano essere rimosse con le vanghe. Secondo A. de Luca da un documento di bilancio comunale del 1745 risulta "p. Tartaglia fittuario del trappeto per uso d'oglio" "Franc. Cacchione come fittuario del trappeto per uso di chianca in tempo non si macina oliva" "...fin dal 1854 esistevano quattro macchine idrauliche e due strettoi alla genovese per la estrazione degli oli, benché non fosse del tutto abolito il costume di estrarli premendo a pié nudo e con acqua calda un sacchetto con entro le olive ridotte a pasta".
 Nei primi anni del 900 c'erano 10 trappeti. Oggi in 25 giorni di attività operano a Serra gli oleifici di Santoro Filomena in D'Adamo, di Ferrero Pasquale e di D'Amicis Mauro, mentre il commerciante Vaccaro Vincenzo trasforma in proprio il prodotto nel suo oleificio. In questi oleifici viene eseguita soltanto la molitura e l'estrazione. L'olio prodotto, quindi, generalmente non viene idoneamente stoccato, né confezionato. Non esiste coordinamento tra le attività dei vari oleifici, né tra gli olivicoltori e, elemento più rilevante, non esiste valorizzazione e commercializzazione collettiva dell'olio prodotto, condizione indispensabile per penetrare nei grossi mercati. Purtroppo bisogna ricordare l'inadempienza della Cooperativa Frentania (dovuta forse alla scarsa assistenza tecnico-amministrativa e all'immaturità degli olivicoltori) quando nel 1972 non ha accolto la possibilità di ottenere dallo Stato una sovvenzione di cento milioni per l'impianto di un frantoio cooperativo. Se questo fosse avvenuto la Cooperativa F. si sarebbe sviluppata a integrazione verticale, cioè avrebbe trasformato e venduto direttamente il prodotto finito, così come stanno facendo molte cooperative olivicole del Molise e della Puglia.
 Viste le difficoltà cooperativistiche locali un olivicoltore serrano ha rotto il ghiaccio da solo ed ha cominciato da qualche anno a produrre olio extravergine dalle olive dei suoi oliveti che cura personalmente con competenza, usando per la concimazione il concime organico (Oggi non è più concepibile un'agricoltura empirica, si esige molta professionalità nel settore per salvaguardare oltre il prodotto anche l'ambiente). L'olio di Balice Gabriele, a detta del produttore, è ottenuto con sistemi meccanici e con lavorazione a freddo. Questo garantisce la migliore qualità del prodotto (la tecnica deve essere al servizio dell'uomo e non il contrario) che è confezionato in lattine da 1, 5, 10, 25 litri e in bottiglie di cristallo da 500 grammi con tappi in vetro soffiato. L'OLIO SANTO di affioramento è contenuto in prevegolissime ampolle da 150 grammi di vetro battuto a mano.
 Il longevo albero sacro non poteva non donarci l'olio santo (c'è una analogia di composizione tra l'olio di oliva e il latte materno) come santi sono gli alimenti primari, quando non sono inquinati.