Agli albori dell'agricoltura, successivamente alla coltivazione degli
alberi da frutta, avvenuta trecento anni dopo quella del grano, sempre nella
zona del vicino Oriente prese piede l'orticoltura, diffusasi in Asia occidentale,
poi nella Valle del Nilo, infine in Europa. Il più antico vegetale
conosciuto è l'aglio, originario del Medio Oriente, la cui "domesticazione"
è testimoniata dalla larga adattabilità dei bulbi ai differenti
climi.
Anticamente, forse fino alla fine del XIV secolo, l'orto aveva il predominio
a Serracapriola, poi man mano lo ha perduto per il diffondersi della cerealicoltura
e per una radicata abitudine dei contadini (restii a vivere in campagna)
a risiedere nel centro abitato. Ma l'orto come necessità incontrovertibile
richiede l'assidua vicinanza del suo tutore per essere annaffiato, zappato,
concimato, sarchiato e difeso da eventuali malviventi. Parecchi ortolani
nei loro orti avevano "i peschére", cioè
grosse vasche che raccoglievano acque sorgive, di cui il nostro agro è
ricco, da usare all'occorrenza. In contrada Avellana l'antica "Peschére z'Pard"', tuttora in uso,
raccoglie la limpida acqua d'una sorgente perenne che, si dice, alimentasse
anche la nota fontanina e l'esteso orto del nostro convento,
coltivato ancora oggi con amore dal frate Giovanni da Trivento.
"Il paese (ci informa A. de Luca) contemporaneamente importava
ed esportava ortaggi: Importava le primizie, fagiolini, piselli, fave da
Campomarino; le patate da Torremaggiore, S. Giovanni Rotondo, Margherita
di Savoia. Esportava poi nella limitrofa provincia del Molise indistintamente
tutti i prodotti dell'orto che su quei mercati venivano ben quotati, specialmente
i pomodori assai dolci e colmava i vuoti dell'esportazione con ortaggi della
stessa specie, se non proprio della stessa qualità che da San Paolo
erano importati e venduti a prezzi più bassi".
Ogni rosa ha. le sue spine. Se si vuole curare la qualità e la
selezione del prodotto bisogna sottostare ad alcune regole. L'orto richiede
acqua in abbondanza, cura assidua e l'impiego di concimi naturali (letame,
goemone, alghe). Bandire senza titubanze i prodotti sintetici, ma si possono
usare se impiegate con parsimonia le potasse, la calce e lo zolfo. Anche
se i prodotti non sono appariscenti non importa. La ricerca della qualità
dà un'enorme soddisfazione prima a sé stessi e poi agli altri
che vengono così educati ad una sana alimentazione. Alcuni ortolani
degli anni 50, Domenico Barletta (z' Pard'), Giovanni
Balice (Chiagnèmamm'), Basilica Sanità
e tanti altri curavano con passione i loro campi tenendo presente che
gli ortaggi hanno delle opinioni e delle affinità. Alcune piante
stanno bene insieme: cipolle e rape, porri e sedano, carote e piselli, pomodori
e prezzemolo. Altre si odiano: pomodori e finocchi, pomodori e prezzemolo.
Altre si lasciano influenzare dai loro vicini e assorbono il loro sapore,
come i ravanelli, che sono saporiti e profumati se crescono vicino al crescione.
E i nostri ortolani ai concimi chimici preferivano qualche pianta di menta,
di geranio, di cappuccina, di cipolla e di pomodoro, per cacciare i parassiti.
Strappavano pazientemente le erbacce, ma conservavano quelle buone. Annaffiavano,
sarchiavano, zappavano e con l'aiuto di Dio raccoglievano tesori. All'imbrunire
con gli asinelli bardati di "spertun" colmi d'ortaggi
(molto richiesta era "A'NZÈLÈTÈLL",
una varietà di lattuga dalle foglie piccole e strette) "i
verdumére" si recavano al n. 81 di Corso Garibaldi per
rifornire il negozio dell'unica fruttivendola Grazia Gabriele "Greziucce".
Quando furono assegnati i poderi dall'Ente di Riforma, i serrani interpellati
rifiutarono, ritenendoli improduttivi, i terreni sabbiosi delle Fantine
a Marina di Chieuti; dati poi a margheritani, a cui rendono molto, poiché
questi ortolani esperti utilizzano con i pozzi artesiani l'acqua abbondante
del posto, ottenendo parecchi raccolti di patate, carote (pèstunèche),
cipolle, angurie, ecc. Ma i pochissimi "verdumère"
serrani di mestiere continuano oggi a produrre ortaggi di qualità.
Ferreri Michele (Mecheluccitt')
cura il suo orto in contrada Defenza e vende il frutto della sua fatica
in piazza nei giorni di mercato. Siricola Gino
(Spègnulitt') con moglie e cinque figli vive in campagna
a Colle Sant'Angelo, dove ha realizzato a sue spese un laghetto artificiale
lungo m. 50, largo m. 30 e profondo 8 metri, che viene alimentato di acqua
sorgiva e piovana, sostentamento indispensabile del suo orto che cura amorevolmente
con tutta la famiglia. Con il camioncino carico di ortaggi fa la spola da
Serra a Santa Croce, a Rotello e al mercato di Foggia per la vendita. A
Vaccareccia vive con la moglie e un figlio di sette anni il perito meccanico
Maggio Leonardo di anni ventisette, che ha fatto
la scelta della campagna per passione rivalutando un vecchio podere dove
a sue spese ha realizzato un pozzo artesiano profondo 71 metri che dà
vita ad un orto florido e completo. Oltre al vivaio con cui rinnova le sue
colture, Leonardo cura con competenza anche un pescheto che costeggia il
canalone della Mattonella. Il padre Michele del più giovane ortolano
serrano si preoccupa della vendita dei prodotti. Anche se queste "tre
rondini" non fanno primavera, ma vivono di vita propria cosparsa di
sacrifici e di duro lavoro, non usando concimi chimici nelle loro colture,
sono di esempio a molti contadini che potrebbero utilizzare le copiose acque
sorgive delle loro terre per l'orticoltura e nel tempo costituirsi in cooperative
per produrre ortaggi selezionati da esportazione, come fanno a San Paolo,
a Ortanova, ecc.
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