Pare che il 60% del patrimonio culturale mondiale si trovi in Italia, il Paese che non è ancora riuscito ad effettuare una seria ed affidabile operazione di censimento e catalogazione dei propri Beni Culturali.
Quasi sempre i beni architettonici, giunti a noi, attraverso i secoli, grazie alla semplice manutenzione ordinaria, vengono trasformati dalla moda del restauro. I più martoriati risultano essere i beni ecclesiastici: si pensi per un attimo alle chiese romaniche, al loro "inbarocchimento" ed ai successivi vani tentativi di riportarle allo stato originale; oppure ai recenti interventi su opere di primaria importanza come la Cappella Sistina o la facciata della Basilica di S. Pietro.
La mania del restauro non trascura neppure i più piccoli oggetti sacri, cioè quegli oggetti di culto che ricordano avvenimenti straordinari e che consentono ai credenti di pregare con fede autentica.
Sul vocabolario della lingua italiana, l'aggettivo "sacro" ha il significato di "inviolabile, intangibile", e, nel mondo civile, di fronte a questi oggetti esistono solo due possibili posizioni: quella del credente, che li rispetta per motivi di fede, e quella dei non credenti, che dovrebbero ugualmente considerarli "inviolabili" per rispetto di tutte quelle persone che hanno una fede.
In Puglia, tra i beni inviolabili "violati", il primato spetta al quadro della "Madonna dei Sette Veli" di Foggia. Si tratta di un quadro (coperto da sette veli) che consentiva la visione del volto della Madonna (dipinta su legno), attraverso una finestrella ovale solo in casi miracolosi. L'inviolabilità di questo quadro era sancita da una credenza popolare ("vox populi, vox Dei"), secondo la quale chi avrebbe tentato di vedere il quadro (senza i veli) sarebbe stato punito con la morte.
Sono tanti i fatti straordinari collegati a questo quadro, che ha dato conforto ai foggiani in occasione di eventi catastrofici, come i bombardamenti dell'ultima guerra. Ebbene, in un passato recente, il quadro non solo è stato aperto, ma il dipinto è stato esposto in Pinacoteca.
Non ci è dato di sapere se la "credenza popolare" sia stata rispettata, visto che la Giustizia Divina condanna il "reo" solo se ha agito con "piena coscienza" e "deliberato consenso", ma in ogni caso rimane difficile comprendere i motivi che hanno portato all'esposizione del quadro, che sembra essere stata dettata più da una curiosità morbosa che da motivi scientifici o culturali.
L'oggetto sacro risveglia la fede e invita alla preghiera anche grazie agli anni di storia di cui è carico. Entrando in una piccola chiesa, annessa ad un convento come quello di Serracapriola, e guardando un quadro come quello del Tolentino, di cui si parla in manoscritti compilati nell'anno 1615, rintracciati a Parigi, è veramente difficile non chiedersi come abbia potuto resistere per cinque secoli e, di conseguenza, non avvertire la presenza di un mistero. Di certo sono da prendere in considerazioni gli eventi bellici che hanno interessato il convento, a cominciare dall'invasione turca ("Erano trascorsi appena 42 anni dalla fondazione dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, regnava sulla cattedra di S. Pietro, S. Pio V..." ) per finire all'ultima guerra, durante la quale il convento ha ospitato prima i tedeschi e poi gli americani. Nonostante a breve distanza ci siano stati morti e feriti per causa dei bombardamenti, il convento non solo è rimasto indenne, ma proprio in quel periodo (1941-43) è stato arricchito di un nuovo altare in marmo e abbellito con affreschi.
C'è stata la soppressione dei conventi (1866) ed in questa occasione anche quello di Serra è rimasto privo di custodia ("Mentre i frati furono assenti, addivenne una casa colonica; "). Dal 1534 gli eventi da elencare sono tanti, eppure il quadro si è salvato.
Una cartolina del 1936 testimonia il primo intervento di restauro. A parte il grossolano ritocco del viso del Bambino, colpisce l'oscuramento dell'aureola ad opera di una massiccia corona in oro, quasi un'inconscia aspirazione umana di anteporre i poteri terreni a quelli divini.
Un successivo intervento di restauro (cui si riferisce probabilmente il vescovo Mons. Michele Seccia) riportò alla luce il dipinto originale di F.da Tolentino.
Nel 1971 fu effettuato ancora un intervento di restauro (pare ad opera del pittore Tito Diodati di Napoli) con relativa incoronazione. I risultati sono quelli che vediamo ed evidentemente a nulla sono valse le proteste di padre Eugenio Calderazzo, quando, recatosi a Napoli per ritirare il quadro restaurato, ha notato l'immagine stravolta. Osservando le due riproduzioni o semplicemente sovrapponendole, il quadro risulta completamente rifatto e, se il "test del carbonio" dovesse dimostrare che anche il supporto ligneo è stato sostituito, dopo trent'anni, considerato che anche nel caso di questo quadro la "credenza popolare" parla di punizione mortale per coloro che hanno tentato di rimuoverlo, solo un atto di fede potrà farlo ritornare al proprio posto.
Concludiamo con una riflessione: il fatto, che il quadro della Madonna sia stato mal restaurato o sostituito, equivale alla sottrazione di una goccia d'acqua dall'oceano, ma rimane un segno di decadenza civile.
L'opera sacra, qualunque sia la sua origine, è frutto di un atto di fede, che non ha un prezzo di mercato. Supponiamo di voler restaurare il Crocifisso del Santuario di San Damiano in Assisi. Secondo la tradizione, il buon fra Innocenzo da Palermo, "avendo quasi ultimato il suo lavoro, si trovò in grande perplessità quanto alla testa. Ricorse perciò all'orazione; e una mattina, entrando nella detta stanza, trovò la testa compiuta ad opera di Angeli". Ma se il Crocifisso di S. Damiano non è opera angelica, è il risultato di un lavoro eseguito con fede da un uomo particolare, in un luogo particolare ed in un'epoca particolare. Tutte circostanze difficilmente ripetibili!
Bari, 13 luglio 2001
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