Serracapriola: Ruderi della chiesa dedicata a San Giacomo apostolo fotografati nell'anno 1959. (Fotoriproduzione Renato Ciarallo).
La "presenza" del santo nella chiesa era delegata ad un quadro
ad olio (m. 1,60 x 1) disegnato delicatamente nel tardo milleseicento, da
un buon pennello di scuola romana.
Vestito da pellegrino, l'apostolo aveva nelle mani il bordone, al quale
si appoggiava ed un libro. A sinistra, nella parte alta della tela, la Vergine
sorreggeva fra le braccia il Bambino. Sotto tale gruppo c'era un grande
angelo vestito di un ampio pallio rosso. ln basso campeggiava uno stemma
gentilizio (croce bianca in campo rosso ed albero).
Ai margini meridionali del piedistallo che sopporta la massa dei colli
serrani, là dove l'Adriatica, la 376 dei Tre Titoli e la provinciale
di Montesecco si annodano rispettose fra di loro, due tranches di mura sbriciolate
sono la testimonianza vivente di quel che fu la chiesa di San Giacomo apostolo
che un toponimo indigeno oggi - snaturandone l'essenza - chiama "a'
chésétt di zingher".
La presenza della pieve sulla vecchia strada sterrata che sale a Serracapriola
e la sua vicinanza agli importanti percorsi della transumanza, ne proiettano
- quasi certamente - la costruzione in un'organizzazione territoriale che
nella zona serrana si determinò prima dell'anno Mille.
In quell' epoca, gli edifici sacri, specialmente quelli collocati ai
limiti delle vie di comunicazione, oltre a svolgere funzioni di culto e
di rifugio per i viandanti che vi bussavano, costituivano anche un valido
elemento di controllo del territorio.
L'annullamento quasi totale delle strutture murarie e la mancanza di
qualsivoglia documentazione storica, rendono impossibile datare sia l'origine
della chiesa, sia l'epoca della sua sconsacrazione. Tuttavia, l'intuibile
conforrnazione dell'aula sacra con la caratteristica volta a botte e la
lettura delle poche pietre che, pur consumate, resistono cocciutamente ad
ogni usura, collocherebbero la nascita della chiesa fra il IX e il X secolo
d.C.. Benché le fondazioni, di probabile età romana, lascino
ipotizzare per il sito un ruolo ancora più remoto, ma indefinibile.
In una Bolla di Papa Bonifacio VIII del 1297, l'Ecclesia Sancti Jacobi,
insieme con altri "benefici", risulta inglobata nella Commenda
ecclesiastica dell' Ordine dei cavalieri di Malta, detta di San Primiano
di Larino. Dei suoi commendatari si ricordano il Pelletta, in vita nel 1562
ed il Cedronio nel 1785, anno in cui la Commenda venne abolita ed incamerata
nel Demanio. Durante il vescovado larinese di Monsignor Tria, la grancìa
era governata da un romito ed era sottoposta a visita dell'ordinario (nel
1709 in San Giacomo morì un oblato). Sembrerebbe però che
già nella seconda metà del Settecento, per incuria del Commendatario,
la chiesa fosse già malconcia e le strutture del piccolo complesso,
più che al culto, servissero come area di mercato ai "rivenduglioli"
serrani che vi commerciavano ai viandanti e specialmente agli interessati
alla transumanza, "commestibili, pane, vino e frutta". Su questa
libera attività che movimentava l'economia locale, affondarono le
grinfie aguzze i d'Avalos, feudatari di Serracapriola. Non più mercato
libero a "Passo San Giacomo", ma plateatico regolato da un fittavolo
che a sua volta doveva corrispondere alla cassa feudale ducati 10 all'anno.
Il mercato fu nuovamente liberalizzato a favore della "Università"
serrana nel 1739.
La chiesa, lasciata a se stessa, fu spogliata di ogni apparecchiatura
liturgica. Le avversità atmosferiche determinarono nel tempo il collasso
degli ambienti del secondo livello, eretti in momenti diversi e collegati
con il piano terra con scalinate esterne di pietra; una sul lato nord ed
un'altra su quello meridionale. Nel 1834 le rampe risultavano già
parzialmente sprofondate. Vennero "salvati" due gradini ricavati
da un' annosa pietra (una stele romanica erratica?) con scritte monche e
difficili da decifrarsi.
Ciò che alle strutture del sacro complesso il tempo non fece,
"Barbarini fecerunt". Nelle fiondate picchiarono tanto gli ossessionati
dei tesori, quanto alcuni "vippissimi" amanti di maquillage territoriale.
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