Il capo buttero era l'animatore di tutta l'attività pastorale,
mentre i butteri operavano nell'organico della masseria solo nella
fase di trasferimento e nella permanenza in Puglia. II padrone
(locato) ma soprattutto il massaro controllavano l'andamento della
masseria.
L'attività iniziava prima dell'alba. Ma, in caso di pericolo,
di notte si visitavano gli stazzi o si faceva la veglia intorno
al fuoco. I pastori si liberavano dalla manta di lana,
scendevano dalla lettera e svegliavano i garzoni. Nel frattempo
il massaro aveva già controllato le mandrie e verificato
che tutto fosse a posto per la mungitura e la caseificazione.
Iniziava prestissimo la monta mattutina: i recinti venivano
aperti e i garzoni facevano infilare ad una ad una le pecore nelle
strettoie dove i pastori l'afferravano per una zampa posteriore.
I garzoni trasportavano i secchi di latte verso il fuoco dove
il caciere li versava nel caccavo, chècchèvèll.
Questa fase importante, la quagliata, finiva con la produzione
di forme di formaggio fresco e ricotta, sistemate nelle fiscelle
(fruscèll e cambese). Nella pausa di riposo
i pastori si ristoravano, mentre ai cani si lasciava il siero
della quagliata con panizzi di crusca (chènine).
Al momento dell'uscita il massaro assegnava le strisce del pascolo.
Ogni pastore si muoveva con la sua morra, il garzone e
i cani verso il pascolo assegnatogli, col suo grande ombrello
verde e la spara legata alla cintola. Il gregge brucava
la salutare erba medica, la gramigna, la cicoria, il cardoncello,
tenendo lontane le erbe velenose come la cicuta, la segala cornuta,
il lupino, il ranuncolo. I caplsaldi dell'alimentazione della
transumanza erano l'insostituibile pastura all'aria aperta specie
nei pregiati prati d'altura e la rotazione dei pascoli che non
solo serve a tutelare le risorse disponibili ma anche a garantire
una varietà dietetica benefica per un'alta qualità
dei prodotti. L'integratore ritenuto insostituibile per le pecore
era il sale, pecora salata, pecora salvata. Al tramonto
le morre ritornavano al giaccio, rientravano negli stazzi e si
preparavano per la mungitura serale. Intanto i pastori cenavano
con la solita acquasale. La vita nel giaccio, specie d'inverno
si svolgeva nel fango e nella sporcizia in totale promiscuità
con gli animali. I giorni della peggiore fatica erano quelli della
figlianna, quando le pecore partorivano dopo 5 mesi di
gravidanza. Mentre davanti al freddo e alle epidemie, come la
schiavina (vaiolo selvatico), che decimavano i greggi,
i pastori rimanevano impotenti. Nel mese di maggio l'intervento
dei carusatori per la tosa, chèruse, delle
pecore chiudeva l'annata di lavoro.
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