Nel febbraio 1635, in una Serracapriola ancora disastrata dal terremoto
del 30 luglio 1627, comparvero i d'Avalos, feudatari di Pescara-Vasto. Per
ottenere il pur sempre ameno e ricco feudo di Serracapriola-Chieuti, messo
in vendita da Andrea Gonzaga, avevano brigato molto e a lungo. Durante il
loro governo, durato un secolo esatto, i serrani vennero sottratti alla
qualità della vita che precipitò in una somma di balzelli
e spoliazioni, che li assimilò ai servi della gleba.
* * * Il marchese Giovan Battista d'Avalos, come raccontano le scarne cronache
serrane, volle esercitare lo ius primae noctis con una popolana nostrana
di non comune beltà.
* * * Colui che osò osare si rifugiò, lì per lì,
nella cappella del Sacramento di santa Maria in silvis, precipitosamente
guadagnata. In quel luogo sacro, catturato dagli sgherri feudali, "ebbe
tronche le mani" e trascinato "appié del prepotente".
Lo impiccarono, senza indugio, nel bosco che il ribelle stesso possedeva
non lontano dall'abitato. E al vento della valle, il suo corpo ondeggiò,
per giorni e giorni, esempio e monito a reazioni progressiste. Il luogo
dove si consumò il macabro rituale si denominò "u'
véle da forch"', toponimo rurale (ereditato dalla cultura
longobarda) documentato a Serracapriola già nel 1745.
* * * Dopo lo scampato pericolo, Giovan Battista d'Avalos, coinvolto anche
in vicissitudini patrimoniali, diradò sensibilmente le sue "presenze"
in Serracapriola. Il nome del nobile, divenuto sinonimo di terrore, veniva
spesso rinverdito nel passato serrano per neutralizzare l'eccitazione dei
ragazzi irrequieti e bricconcelli. "Zitti - bastava che lor si dicesse
- ché adesso viene il marchese di Vasto! ed essi, poverini, non fiatavano
più e, se di sera, si cacciavano sotto le coltri e dormivano!". |