Il giorno scorreva nel calore del solleone.
  Un "mostro" che aveva lanciato i suoi "segnali" sin dall'Ottobre 1626 e li aveva poi consolidati nei mesi successivi, con tutta la rabbia dell'XI grado della MCS, urlò a mezzogiorno sotto i piedi di "cives et exteri" per la durata di "due o tre credi". Il rombo sismico "non a guisa d'un toro, ma di grandissimo tuono" offuscò la "mente e l'udito" degli esseri umani. E subito si vide la terra ondeggiare come "sogliono l'onde nel maggiore agitamento del mare". Il sommovimento catapultò le persone "di faccia in terra" e... "senza mancar niente il muggito... si sollevò ondeggiando di nuovo la terra". Ma "assai più la terza volta che ondeggiò con maggiore rabbia...". Arrivò poi "una scossa sì grande e terribile" e fu subito catastrofe.
  In quella sua catastrofe, la più arrogante che la storia ricordi, Serracapriola si dissanguò insieme con Apricena, Lesina, San Paolo di Civitate, San Severo e Torremaggiore.
  In un boato di morte il sisma scatenò il ribaltamento di interi elementi murari: si dissolse la fragilità della "terra" medievale: si sfaldò, in parte, la possente cortina muraria che recingeva l'abitato, restò salvo il nuovo edificato che andava espandendosi oltre l'attuale via XX Settembre - (a roie di 'zinc'r) - battezzato "terra nuova".. Crollò la chiesa di Santa Maria in Sylvis e si sfasciò gravemente la collegiata di S. Mercurio Martire con il suo "bel composto campanile".
  La morte, il più grande ladrone universale, quel 30 Luglio fece banchetto opulento: falcidiò un numero imprecisato, ma elevato, di serrani. Secondo Antonio Lucchino da San Severo che descrisse (1630) la tragedia-terremoto, testimoniandola in prima persona, perirono complessivamente sotto le macerie duemila serrani, uomini e donne, poveri e ricchi, primitivi e raffinati. Per i registri di Santa Maria in Sylvis, invece il "numerus defunctorum quatercentum et eo amplius fuisse videtur..." Quest'ultimo dato è probabile si riferisca ai soli parrocchiani di quella chiesa, periti "sub ruina saxorum".
  Una ventina circa di feriti gravi morirono poi "in clausura cappuccinorum et in plano crucis". E "vi è ragione di pensare", scrisse Alfredo de Luca, che "tanto il Convento, come il Piano della Croce siano divenuti allora il ricovero degl'infermi: difatti, fra i morti nel Convento, vi sono anche delle donne" .
  I serrani superstiti, navigando in una "densissima caligine di polvere" animata dai lamenti di "que' miseri che ancora vivi, gridavano sotto le pietre chiedendo aiuto", operarono nel post-terremoto, numerosi soccorsi. Fra gli altri, venne tratto in salvo un "figliuolo in fasce" sopravvissuto tre giorni in una botte. Il sisma colse sul campanile di San Mercurio M. alcuni ragazzi che toccheggiavano le campane a martello. E colui che sonava quella maggiore venne scaraventato dal terremoto "all'ingiù dentro l'istessa campana, la quale venne in terra con la bocca e rimase in piedi senza rompersi; e il figliuolo restò dentro vivo; alle sue grida fu tolto dalle genti rimaste. In tutte le parti del corpo si ritrovò sano, eccetto che nella testa ove era ferito in più parti e ne sanò".
  Quel 30 Luglio, molte altre scosse, di magnitudo variabile, figlie di un unico epicentro, continuarono a bombardare, per uno "spatio di cinque ore" circa, i paesi già battuti dal movimento principale. La replica più forte (IX grado MCS) si verificò alle ore 12,15 e causò ulteriori mali.
  Le scosse continuarono per più giorni e, sabato 7 Agosto 1627, un nuovo parossismo (X grado MCS) diede il colpo di grazia a Serracapriola. Alle ore 18, "Terra-Nuova" e dintorni (oggigiorno via Nicola Ciampa) ..."rovinò tutta, con morte di cinquanta persone". In paese "non restò forma completa de habitatione, né pietra sopra pietra". I pochi edifici rimasti eretti apparvero fracassati ed inabitabili. Si sciolse, nella circostanza, la robustezza degli antichi torrioni angolari del castello, ma restò integro il massiccio maschio ottagonale. In Serracapriola oggi esso è l'unico monumento intatto di età anteriore al 1627, insieme con pochissimi altri "resti", però rimaneggiati. Caddero buona parte del "Monistero di S. Angelo de' Zoccolanti riformati... ed anche di S. Maria del Monte... e de' dormitorj del Monistero della Badìa di S. Agata e dell'abitazione attorno al cortile dell'entrata". La chiesa intitolata alla vergine di Catania restò "all'impiedi". Il sisma colpì anche il convento. "Li frati della Serra" - relazionò al Padre Generale fra' Geronimo - "hanno abbandonato li luoghi e bisogna ch'io li vada compartendo per gl'altri conventi".
  E Serracapriola, "terra bellissima... e devotissima, da più di 1.000 fuochi... è consumata che, a pena, ci sono rimaste 200 persone". Le scosse telluriche interessarono fortemente anche la vicina Chieuti (X grado MCS). Crollarono in quel paese molte costruzioni fra cui "una, attaccata alle mura della terra e la padrona della quale, che era vedova, quel giorno si ritrovò nella Serra per i suoi negozj et ivi, fra quelle ruine, morì".

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 Nell'area epicentrale interna all'isosisma di IX-X grado, il terremoto - oltre a distruzione e morte - provocò collassi nei terreni e variazioni nel regime idrico delle acque sotterranee. La riva sinistra serrana del fiume Fortore fu segnata da grandi e profonde aperture; fra le altre, ve n'era una "che tirava verso S. Agata più di tre miglia di lunghezza" Sempre in quei luoghi, scaturirono "fontane di acque negre" che, dopo un mese circa, "sparirono senza vedersi più". I pozzi, anche quelli più profondi, rigurgitarono le loro acque all'esterno e sprigionarono un intenso odore sulfureo. Nei pressi di Chieuti venne sradicato totalmente un bosco; si scatenò in un maremoto l'Adriatico fra Manfredonia e la foce del fiume Sangro.

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 Superate le angosce iniziali, il serrano oppose alla natura maligna la propria voglia di rinascita. Le radici della disperazione cercarono la forza delle mani allacciate insieme ed il dolore di uno, morì nella vittoria di tutti.
 Fra sballottamenti e paure - (l'attività macrosismica durò quasi tre anni e le scosse generate furono circa 1700) - sui colli irti di macerie, iniziò ben presto a nascere la nuova Serracapriola. Il suo primo simbolo monumentale fu Santa Maria in Sylvis. La costruzione, mq. 630 - autorizzata da Pietro Paolo Caputo, vescovo di Larino, iniziò nella tarda primavera del 1628 e fu ultimata nel 1630. La chiesa di San Mercurio, "resa quasi inabitabile" dal terremoto, "fu demolita e da' suoi fondamenti, nel medesimo sito, fu innalzata altra nuova l'anno 1630" (mq. 806).