Un giovane ventenne nato a Larino bussò un giorno alla porta del convento dei Cappuccini di Serracapriola per esservi ammesso come postulante. Il Fratello portinaio, Fra Antonio da Vico Garganico, che gli aprì la porta, l'accolse con queste parole: "Oh, sei pur venuto! E sino a quando eri per dar ripulsa allo Spirito Santo che con occhi interni e celesti illuminazioni ti chiama? Horsù, sta' forte, né dubitare: apparecchia l'anima tua alla tentazione". (Vol. 1° pag. 477 Not. di vita e gesta dei Cappuccini di Foggia).
 Il giovane postulante si accorge di trovarsi di fronte ad un veggente, e pieno di stupore chiede se è presente il P. Provinciale.
 Rispose Fra Antonio: "Rallegrati pure che ci sta benissimo ed ogni cosa andrà per il tuo disegno".
 Il Provinciale, P. Giuseppe da Rossano, era presente in convento per la visita canonica. Accolse paternamente il postulante di Larino, lo esaminò attentamente sulle sue reali intenzioni e lo ricevette come laico, non riscontrando in lui le caratteristiche per avviarlo al sacerdozio. Il giorno 8 Ottobre 1581 ricevette le sacre lane dal P. Maestro, P Antonio da Tuoro, il quale gli impose il nome di Fra Pardo che è il Patrono di Larino, sua città natale.
 Si distinse subito per il suo spirito di orazione. Era nemico dell'ozio ben sapendo che è il padre dei vizi. "Imbracciava lo scudo della .sollecitudine e vigilanza contro le saette dell'accidia e negligenza, vizi che sogliono depredare il profitto dei religiosi e massime i buoni propositi dei novizi per impedir loro di servire il Signore".
 Era diligente nell'imitare Marta di Betania, ma preferiva la parte di Maria superando i compagni nell'assiduità del coro, nel fervore e nella frequenza ai Sacramenti della Confessione e della Comunione. Amava la purezza del cuore, la sincerità dell' animo, la custodia della mente. Provava grande gioia nel rinnegare la propria volontà, e assoggettarsi in tutto all'altrui volere. Autentico figlio di S. Francesco, amava la povertà a tal punto che "stimandosi ricchissimo nella sola penuria di ogni cosa, godeva della nudità, si compiaceva di possedere un niente e si rallegrava quando anche il necessario al vitto umano gli mancava".
 Durante l'anno di noviziato fu assalito da terribili tentazioni sulla fede. Cominciò a dubitare sulla reale presenza di Gesù nella Santissima Eucarestia. Lottava strenuamente ravvivando la fede e chiedendo al Signore di aiutarlo a credere. Ma la tentazione e il dubbio crescevano smisuratamente. Pregava e piangeva il povero Fra Pardo, aggiungendo mortificazioni d'ogni genere per essere liberato da questo triste stato d'animo. "L'unico rimedio era il ricorrere alla pietà divina e supplicarla d'opportuno soccorso nell'orazione, e in questa, di giorno e di notte, con amoroso affetto s'immergeva".
 Mosso a pietà il buon Dio, "per consolare quell' anima di paradiso angustiata ed afflitta e stabilirla nella credenza di mistero così sublime, fé che vedesse con gli occhi corporali uscire dal Tabernacolo un bellissimo Bambino della cui presenza restò tutto pieno di giubilo e contento! Mentre in coro i confratelli intonarono il Te Deam laudamus, "si aprì la custodia e da quella uscì un Fanciullo che dal volto irradiava raggi così risplendenti che superava la chiarezza del sole e pareva la chiesa tutta di fiamme accesa, mentre questo divinissimo Fanciullo passeggiava con maestà divina sull'altare, il devoto novizio, piangendo per tenerezza d'affetto, buttossi con la faccia a terra ed esclamò con l'apostolo Tommaso: Signor mio e Dio mio, ti adoro. Aiuta l'incredulità mia".
 Questa visione durò finché il coro non giunse al versetto: "Te ergo quaesumus tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redemisti".
 Terminato l'anno di noviziato, con grande giubilo emise i voti di ubbidienza, povertà e castità.
 Nei primi anni fu impegnato dall'Obbedienza in cucina e serviva i Frati come angeli scesi dal cielo. "S'impegnava di superare la parsimonia e scarsezza per la povertà delle cose con l'industria e diligenza, perché tutti fossero contenti e soddisfatti. L'impegno in cucina non gli impediva di partecipare al coro, dove era sempre il primo e di assistere al divin Sacrificio. Più volte, servendo la Messa celebrata dai Padri Angelo da Tuoro, Benedetto da Venafro, e Giacomo dalla Sala, vide nelle loro mani, al momento dell'elevazione, al posto dell'Ostia, il Figlio di Dio in forma di un bellissimo Bambino, che tornava a prendere la forma di ostia, allorché il sacerdote la depositava sul corporale.
 Trasferito dall'Ubbidienza da Serracapriola a Vasto, gli fu affidato l'ufficio di portinaio. Era sempre compassionevole e caritativo con i poveri che bussavano alla porta del convento. Dando il pane materiale, porgeva anche il cibo della parola divina, esortandoli alla confessione delle colpe, alla fuga dai peccati, al santo timor di Dio, ad ascoltar la messa, a recitare la corona, ad essere pazienti nelle infermità.
 Un giorno bussò alla porta del convento lo stesso demonio. Fra Pardo corse con la consueta sollecitudine ad aprire. Un uomo ricoperto di stracci era lì ad attenderlo, ed invece di chiedergli del pane, inveisce con tono arrogante: "Da quando in quando voi, laico miserabile ed abietto, senza spirito ed ignorante, siete diventato predicatore eloquente? A che tanti sermoni in questo posto? Avete stordito le genti con le chiacchiere e gli spropositi che dite. Sarebbe meglio cacciar via quei cialtroni, che mangiano il pane a tradimento. Siete un furfante e meritate la forca".
  Fra Pardo, in un primo momento, restò sbalordito; poi, illuminato dallo Spirito Santo e conoscendo l'inganno diabolico, con mansuetudine, rispose: "oh, oh, oh, come dite bene! Io veramente come furfante merito la forca... come pessimo peccatore merito l'inferno. Ad ogni modo, a tuo dispetto, brutto mostro d'Averno, spero nella pietà divina di salvarmi; del resto lascia a me la cura dei poverelli che, contemplando in essi Cristo Signore, darò loro ancora il cibo e, bramoso della loro salvezza, li esorterò a ben operare".
 Il demonio si stava avventando ferocemente contro il povero portinaio, ma Fra Pardo con un semplice segno di Croce mise in fuga l'astuto maligno.
 A Trivento Fra Pardo accompagnò il P. Arcangelo per la predicazione in Cattedrale. Il P. Predicatore era talmente convincente e travolgente che richiamava molti peccatori alla penitenza e sulla via della perfezione. Il che non piaceva al nemico delle anime.
 Era Domenica e il P. Arcangelo già pensava di riportare all'ovile tante pecorelle smarrite. Durante la notte, però, il demonio scatenò una furibonda tempesta, che scoperchiò i tetti delle case e non permise al Padre Predicatore di chiudere un occhio e riposare un tantino, talmente era atterrito. Come predicare all'indomani al popolo? Fra Pardo che aveva conosciuto l'inganno diabolico, pregò tanto quella notte che il Padre Arcangelo riacquistò le forze, poté predicare, e predicò tanto bene che molte anime si convertirono e ripresero il cammino della via stretta che conduce al cielo.
 Tornando da Vasto a Serracapriola, nel mese di maggio, lo scioglimento delle nevi ingrossò il fiume Trigno che, sfociando nell'Adriatico, impediva il traghettamento tra le due sponde. Fra Pardo tenta ugualmente di attraversare il fiume e raggiungere la sponda opposta. Dopo aver invocato l'aiuto della Regina del cielo di cui era devotissimo, attraversò il fiume camminando in mezzo alle acque come se camminasse sulla terra asciutta. Una volta doveva attraversare il fiume Sangro dopo aver accompagnato un confratello a Lanciano. Il fiume era gonfio e la prudenza non permetteva di tentare l'attraversamento. Chiese allo scafista la carità di traghettarlo per amor di Dio. Passato all'altra riva del fiume, lo scafista, giustamente, pretendeva l'incomodo. Ma il Fraticello rispose che ai figli di S. Francesco non è permesso di toccare la pecunia, per cui lo ringraziava e gli prometteva la sua preghiera. Lo scafista uscì in invettive e pretese il pagamento. Fra Pardo lasciò i suoi sandali in pegno, assicurando lo scafista che, giunto a Torino del Sangro dove era diretto, avrebbe chiesto ad un benefattore il denaro e sarebbe tornato a pagare il debito. Si era appena allontanato dalla sponda del Sangro, che due feroci mastini assalirono lo scafista e stavano per sbranarlo, se alle sue grida disperate, Fra Pardo non fosse tornato sui suoi passi a liberare il malcapitato. Comprese allora che non bisogna pretendere dai figli di S. Francesco ciò che essi hanno rinunziato per amor di Dio, e gli restituì i sandali.
 Era stato pellegrino a Monte Sant'Angelo ed aveva concepito gran devozione verso il Principe delle milizie celesti. Trovandosi di famiglia nel convento di S. Giovanni Rotondo e vedendo in giardino un secolare albero di mandorlo che non produceva frutti, decise di tagliarlo per dare spazio ad altre piante che avrebbero dato, a loro tempo, il loro frutto.
 Per quanto si desse da fare per estirparlo o per tagliarlo con la scure, la cosa sembrava impossibile. Ricorse allora alla preghiera e rammentò a Gesù ciò ch'Egli aveva detto nel Vangelo: "Se avrete fede e direte al gelso o a un monte di spostarsi altrove, questo sarà fatto".
 Per quanto pregasse e si affannasse, il mandorlo rimaneva ben conficcato nel terreno con le sue robuste radici e col suo tronco ferreo.
 Ricorse allora all'intercessione di S. Michele, e senza che se ne avvedesse, trovò l' albero infruttuoso, ma robusto, svelto e riverso ai suoi piedi.
 Fra Pardo, come fratello questuante, era l'espressione viva della divina Provvidenza.
 A S. Giovanni Rotondo procurò per i suoi confratelli miracolosamente il pane: a Lucera ben due volte e in cantine di due benefattori diversi, fece moltiplicare il vino nelle botti.
 Anche a Troia, pur non essendoci il convento dei Cappuccini, si recava per la questua d'un buon bicchiere di vino per i suoi confratelli. Il Signor Emilio Caracciola, cavaliere napoletano, e la sua gentile Signora, Caterina Filamarino, devotissima dell'abito francescano, offrendo generosamente del buon vino al fraticello questuante, furono oggetti dello stesso prodigio: per quanto vino si attingesse dalla botte, questa rimaneva sempre allo stesso livello. Fra Pardo fu inviato una volta a S. Bartolomeo in Galdo a trovare tavole di noci per riparare le mense del refettorio. Un dottore del paese di cui non si conserva il nome aveva un buon tavolone col quale poteva accontentare il Fraticello. Però sperava di ricavarne qualche scudo, Fra Pardo disse chiaramente al proprietario del legno che egli non era venuto a comprare, ma a chiedere in elemosina, e per amor di Dio. Visto che il Dottore era restio a cedere il tavolone di noce, Fra Pardo aggiunse: "Datelo, Signore, per amor del Padre S. Francesco volentieri, che Dio benedetto ve ne darà buona mercede, quanto meno ve lo aspettate".
 La Provvidenza non mancò a ricompensarlo. Avendo egli in una botte vecchia cinque tomoli di grano per uso domestico, nell' arco dell'anno ne tirò fuori più di venti! Ringraziò il buon Dio e i figli di S.Francesco.
 Fra Pardo, tornato di famiglia a Vasto, fu colpito da infermità mortale, che lo fece tornare nella casa del Padre il 20 Giugno 1626.

Miracolo Eucaristico
 Il Boverio nei suoi Annali dell'anno 1571, riferisce: Un novizio del convento di Serracapriola, (Fra Pardo) dubitava fortemente della presenza reale di Gesù in Sacramento, e spesso pregava Iddio con molte lacrime, perché togliesse dalla mente tale tentazione.
 Il Signore esaudì le sue suppliche.
 Il giorno del Corpus Domini, mentre gli altri frati intonavano in coro, dopo il Mattutino, il "Te Deum", egli stava perplesso innanzi all'altare. Tutto ad un tratto vide uscire dalla porticina del Tabernacolo un fanciullo bellissimo, circondato da tanta luce da illuminare tutta la Chiesa. Si prostrò a terra ed esclamò: "O Signore mio e Dio mio!". Il novizio godette la sublime visione, finché il coro incominciò a cantare le parole: "Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine, redemisti".
 Da quell'istante non ebbe più dubbio alcuno circa la reale presenza.