Una sentenza mal digerita
  Monsignor Girolamo Vela, vescovo di Larino, recatosi a far residenza a Serracapriola, luogo di sua diocesi, fu visitato da fra Matteo.
 Il vescovo gli prese tanta affezione "per la sua maniera di trattare devoto, modesto e religioso", che andava spesso nel nostro convento, mostrando di "godere molto della conversazione esemplare del servo di Cristo". Ma il nemico infernale, "di cui è proprio il seminare zizzania ed eccitare discordie", suggerì motivo al vescovo di sdegnarsi fortemente contro di lui.
 La cagione fu che, volendo monsignore scomunicare i Capi della Serra per l'imposizione di certa gabella, pretendeva di averla potuta giustamente fulminare, senza contravvenire ai sacri canoni.
 Per la soluzione della controversia si ricorse a fra Matteo, "come quegli, ch'era stimato uomo dottissimo e d'inviolabile integrità". E il servo di Cristo, dopo matura considerazione e diligente discussione dei meriti della causa ed assai lunga orazione, sentenziò a favore dei Capi della Comunità; sentenza confermata, poi, "col parere di molti savi".
 Monsignore si offese; e quando fra Matteo si portò a visitarlo, lo ricevette "con faccia turbata" e si lamentò "alla gagliarda" di quella sua decisione, né per quante ragioni gli adducesse il modesto religioso, "riverentemente e con molta chiarezza" per giustificazione della sentenza data da sé, non riuscì per modo alcuno renderlo capace né placarlo; sì che gli convenne partire pieno di confusione "per una parte, ma per l'altra consolatissimo, sapendo di patire quella mortificazione senza sua colpa, anzi per zelo della giustizia" (o.c., n. 96).

 

A caccia per amor di Cristo
 Infermatosi il vescovo gravemente e saputo fra Matteo che era male pericoloso di morte, andò un giorno per riverirlo, ma gli fu negato l'ingresso e fu costretto a ritornare in convento senza averlo potuto vedere.
 Ricordatosi fra Matteo che il padre san Francesco ebbe a dire, che se gli fosse stato vietato l'entrare dal vescovo per una porta, vi sarebbe entrato per l'altra, presi in sua compagnia tre sacerdoti studenti, uscì dal convento circa il tramontare del sole e s'inviò verso Serra.
 Interrogato da uno studente, ma con riverenza, ove pensasse d'andare in quell'ora così tarda, gli rispose: "Andiamo a caccia per amor di Cristo; preghiamolo di tutto cuore, che ci voglia aiutare, che forse questa notte ci avverrà di fare una buona presa".
 Giunto alla Serra, fra Matteo entrò nella casa del vescovo e, postosi in un angolo della sala, aspettava di essere da lui introdotto, facendone istanza ad uno dei suoi cortigiani; ma gli fu risposto che monsignore non dava udienza ad alcuno.
  Il caritativo fra Matteo non si partì per questa risposta, ma si trattenne ivi per una mezz'ora, fin tanto che uscì dalla camera del vescovo un suo nipote, il quale inteso da uno degli studenti che il loro padre lettore fra Matteo già qualche tempo stava aspettando di poter visitare l'infermo, gli andò incontro e, presolo cortesemente per la mano, l'introdusse con tutti i compagni da monsignore (ivi).

 

S'intenerì il vescovo
 Fra Matteo gli si avvicinò subito al letto e, postosi ginocchioni, gli baciò riverentemente la mano e con abbondanza di lacrime gli domandò umilmente perdono, se in cosa alcuna l'avesse offeso.
 S'intenerì il vescovo "a questo tiro sì umile, sì riverente e gli mostrò come gli fosse cara la visita". Entrato poi seco a discorrere del suo male, il quale non molto dicendo che quanto prima sarebbe guarito, si diede il divoto frate Matteo a persuaderlo che volesse apparecchiarsi alla morte, perché era più vicina di quello che egli forse pensasse.
 Lo stesso fu confermato dal medico, andato poco dopo a visitarlo, il quale disse liberamente che, secondo l'arte della medicina, non solo non poteva risanare da quella infermità, ma che difficilmente sarebbe arrivato a vedere il giorno seguente.
 A tale avviso il prelato si turbò alquanto, ma per le divote esortazioni di fra Matteo restò ben presto così consolato, anzi "innanimito", che si rassegnò al divino volere e si dispose a ricevere i santi sacramenti, come fece,con molta divozione alle tre della notte, rendendo vicino all'aurora l'anima a Dio, fra le braccia pietose del suo servo frate Matteo con ottima disposizione.
 Restò di ciò grandemente edificata tutta la Terra, la quale sapeva come il vescovo si fosse comportato con lui per l'offesa, che pretendeva di avere ricevuta nella decisione di quella causa (o.c., n.96).

 

Matteo, figliuol mio!
 Una sera di sabato del mese di agosto, essendo guardiano del convento di Vasto, fra Matteo, presosi per compagno fra Francesco da Serracapriola, partì improvvisamente per Agnone. Camminò tutta la notte senza prendere riposo; arrivato la mattina seguente a Tufillo, celebrò la santa messa, si ritirò alquanto nella casa d'una signora nostra divota e riprese il cammino verso Trivento, ove giunse verso sera. Il giorno appresso, non bastando i preghi dei frati a trattenerlo, fra Matteo seguitò il viaggio con molta sollecitudine.
  Arrivato in Agnone circa le venti senza andarsene in convento, tirò a drittura alla casa paterna, nella quale si ritrovava una sua zia malata pericolosamente, ma più di vecchiaia che d'altro.
 Stupirono le sorelle in vederlo con l'abito succinto e col bastone alla mano e, ricevutolo cortesemente, volendo entrare seco lui in discorso, si licenziò subito e passò nella camera dell'inferma, la quale sentì tanta consolazione ed allegrezza.
 Alzatasi sul letto e abbracciatolo con tenereza di madre, lagrimando:"Ah Matteo, figliuol mio - esclamò - quanto ho desiderato di vedervi prima di morire: sia mille volte lodato e ringraziato il Signore, che si è degnato di concedermene la grazia, e consolarmi".
  "Sappiate, carissima zia - rispose frate Matteo - che io son venuto apposta dal Vasto per assistere alla vostra morte e per disporvi con l'aiuto divino ad un felice passaggio".
  Postosele a sedere accanto, fra Matteo l'interrogò s'era gran tempo che non si fosse confessata. "Da poco - rispose - l'nferma - ma che per l'Assunta della beatissima Vergine, la quale sarebbe stata fra quattro dì voleva confessarsi di nuovo e comunicarsi".
 "E chi sa, dilettissima - le soggiunse fra Matteo - che sia per esserci conceduto poter vivere sin'a quel giorno? io vi assicuro che non potrete arrivarvi; e pertanto vorrei, che il faceste quanto prima, anzi questa sera avanti ch'io parta da voi".
 Ricusava la vecchia zia di farlo, col pretesto di volersi meglio e più comodamente apparecchiare, ma il vero motivo era che si ritrovava con l'animo rammaricato contro alcuni parenti per interessi di roba; e per ciò non aveva disposizione bastevole a potersi confessare e pensava a tutt'altro, che a prepararsi alla morte.
 Con tutto ciò, furono così efficaci le esortazioni e le preghiere del servo di Cristo, che indussero la vecchia zia a rimettersi al divino volere, a discacciare dal cuore ogni odio e malevolenza, a confessarsi, a ricevere il santissimo Viatico e successivamente l'estrema unzione ed a recitare molti atti di dolore e di amore di Dio.
 Stupirono quelli di casa, ed altri colà concorsi, della gran premura che mostrava frate Matteo nel far amministrare alla zia i sacramenti. Interrogato della cagione, rispose loro l'illuminato servo di Cristo che così conveniva, perché la donna sarebbe morta prima delle sei ore.
 E si verificò la predizione: passò da questa vita all'eterna nel punto della mezzanotte circa alle quattro. Padre Matteo le fu sempre assistente col suo compagno.
 Da questi due casi chiaramente ci si manifesta che padre Matteo fu onorato da Dio con lo spirito di profezia (o.c.,n.97).

continua