Erano "finti"
Indi appresso Padre Matteo coprì con un velo la pittura della
santissima Vergine e, fatte uscire tutte quelle persone di chiesa, e chiudere
le porte, diede principio "ad investigare la sussistenza dei miracoli
che si divulgavano". Dopo diligentissimo esame, Padre Matteo "ritrovò
che erano finti, operati per virtù non celeste, ma diabolica"
e ne diede a monsignore un minuto ragguaglio.
Sapendo di poi il buon vescovo che non per questo cessava il concorso
alla chiesa, "intorno a cui s'aggiravano le donne ballando e facendo
leggerezze indecenti, volle condurvisi lui stesso in persona nelle feste
di Pentecoste.
Ritrovandovi gran moltitudine di genti forestiere nella campagna, fece
loro un breve ragionamento: "Non era cosa insolita alla gran Madre
di Dio il far miracoli a beneficio dei popoli suoi devoti, ma che però
bisognava stare molto avvertiti e non lasciarsi ingannare dal demonio, il
quale ben spesso fa credere, e non solo alle persone più semplici,
ma talvolta ancora alle più sensate, che le sue illusioni siano opere
miracolose".
Soggiunse monsignore che, sapendo egli molto bene per informazioni autentiche,
"essere falsi e non veri, diabolici e non divini i miracoli supposti
operati in quel luogo", come prelato e pastore di "quella greggia"
proibiva sotto pena di scomunica latae sententiae che niuno s'accostasse
più a quella chiesa; e vi fece affiggere "i cedoloni della censura".
Poco dopo, monsignore diede ordine che fossero carcerati un uomo e
una donna, che ne avevano cura, i quali, esaminati, confessarono "fra
gli altri delitti" essere dieci anni che vivevano in concubinato, "con
apparenza di marito e moglie".
In tal maniera "si disfece l'opera diabolica" ed il vescovo,
prima di tornare a Larino, andò al convento e fatto chiamare il servo
di Dio Padre Matteo lo ringraziò con grande affetto dello zelo, che
aveva mostrato per la salute delle "sue pecorelle miseramente ingannate
dal diavolo, padre della menzogna" (o.c.,n.99).
Oltre al dono della profezia e della cognizione delle cose occulte,
si degnò il Signore di illustrare le virtù ed i meriti del
suo servo fedele Matteo d'Agnone con "gli splendori di molte grazie",
le quali operò negl'infermi.
"Abbiate fede"
Mentre fra Matteo era guardiano e maestro dei novizi nel convento di
Vasto, arrivò colà una sera il signor Lorenzo de' Santis gentiluomo
di Serracapriola, "aggravato di una schinanzia pericolosa" (una
specie di stupore alla gola), tenendosi più morto che vivo. Camminava
a gran giornate per arrivare in tempo alla dimora e poter spirare l'anima
tra le braccia della moglie e dei figli.
Prese albergo nei Cappuccini, per essere divotissimo e molto amorevole
dell'Ordine loro; e molto più per sapere che ivi era guardiano e
maestro fra Matteo, a cui portava affetto e riverenza particolare, affinché
quella notte fosse stata l'ultima di sua vita, come temeva grandemente "per
sentirsi più del solito caricare dal male", gli fosse concesso
di morire nelle sue mani.
Fra Matteo l'accolse con ogni amorevolezza e, vedendolo molto afflitto,
lo condusse a riposare in una stanza, ove entrato con lui a discorrere dell'infermità
che pativa, gli recò non picciola consolazione con assicurarlo che
sperasse nella benignità del Signore.
A questo felice annunzio l'infermo si rallegrò e si raccomandò
caldamente alle di lui orazioni. Allora fra Matteo, facendogli il segno
della croce sopra la gola, gli disse: "Abbiate fede in Dio benedetto,
che siete sano".
Mirabil cosa! Se gli ruppe la postema, vomitò gran quantità
di materia putrida e restò libero dal male.
La mattina seguente, pieno d'indicibile allegrezza, il signor Lorenzo
proseguì il suo viaggio verso Serracapriola. Giunto a casa felicemente,
si presentò alla moglie ed ai figliuoli, "notiziosi della grandezza
della sua infermità di vederlo risuscitato" (Annali, t.III,
parte I, anno 1616, n. 100).
"Compiutamente sanato"
Terminata la fabbrica del convento di Agnone, ed andatovi fra Matteo
con lo studio, per consolazione di quella terra, avvenne che nei giorni
del solleone si ammalasse il dottor Giuseppe Masoni di febbre acutissima,
per cui la perduta vista e quasi ogni altro senso per la gran debolezza,
alla quale lo aveva ridotto il male, si pensava che potesse poco più
vivere.
Andò fra Matteo a visitarlo e, trovatolo in quello stato, chiamandolo
ad alta voce, gli disse. "Se mi prometti di vivere per l'avvenire cristianamente
nel santo timor di Dio, farò orazione per te e spero che dal Signore
ti sarà donata la vita".
L'infermo udì il suono delle parole del Servo di Cristo e gli
rispose di sì. Ed egli, dopo alcune brevi ma ferventi preghiere,
inviate al Cielo dal profondo del cuore, con le ginocchia piegate a terra,
levatosi in piedi, fece sulla fronte del moribondo un segno di croce, "in
virtù di cui restò il dottore tanto sollevato dal male che,
cessata la febbre, prese il cibo con molto gusto".
Nel termine di pochi giorni il dottore uscì dal letto compiutamente
sanato, ringraziando affettuosamente la divina Maestà e il suo intercessore
della grazia ottenuta (o.c.,n. 101).
continua
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