L'acqua di mare, di fiumi, di laghi copre i 3/5 della superficie terrestre.
Essa ha grande importanza fisiologica. I primi esseri viventi erano creature
marine. L'embrione umano si sviluppa nel liquido amniotico. Si rompono le
acque e nasce l'uomo, costituito in gran parte di acqua, come il regno animale
e vegetale.
Da sempre si è cercata l'acqua, preziosa più dell' oro,
nella sitibonda Puglia. Invece sono ricchi di falde acquifere il Tavoliere
e l'agro di Serracapriola. Le acque dell'Adriatico, del fiume Fortore. del
torrente Saccione, del Canale Capo d'Acqua, del Canale dell'Avena delimitano
i confini del nostro Comune.
Le sorgenti
Sorgenti di acqua stagnante c'erano a Vena de Causa, detta Vena acquosa,
confinante con S. Leucio e Venamaggiore (difesa Mezzarrazza), villaggi distrutti
forse nel 1300 nella guerra tra Veneziani e Federico Barbarossa.
Dalle rendite di cui si reggeva il nostro Comune, dando in affitto terreni
e sorgenti, si deduce che nell'anno 1745 c'erano "fontane" nelle
contrade del Cupiano, del Terzano (ancora oggi la prima alimenta tre "peschére",
la seconda sgorga nella tenuta Ricci), di Macelica, oltre "la fontana
vecchia" sotto l' immondezzaio della Portella.
Nella tenuta di D. Benedetto Maresca, alla Maddalena, c'era una
sorgente, ancora oggi attiva, che alimentava un mulino poi chiuso per poco
apporto di acqua. Un altro, voluto dall'arciprete Arranga, non arrivò
a buon fine per l'inaridimenlo della sorgente. La costruzione di un terzo
mulino a Pisciarello, dove abbondavano le acque, per D. Mercurio Finizio
restò un progetto mai realizzato.
A sud del paese, presso le vasche dell' acquedotto, la zona chiamata
"Funtènine" richiama l'esistenza remota di
antiche sorgenti. A sud-est la Fonte Pettulli era alimentata dal Canale
Fontana che sfociava nel Canale Maddalena, a sua volta accolto dal Fortore.
Più a sud c'era la sorgente della Morgia. Ad est del convento dei
Cappuccini un'altra sorgente versa la sua acqua nella "peschére
de z'Pard". Una fonte ricca di buona acqua continua a scorrere
presso i ruderi dell'Abbazia di S. Agata: unica cosa viva fra una desolazione
di morte. A nord-ovest, in contrada Costa di Roncio, ne ricordiamo un'ennesima
con "peschére".
I pozzi
Il nostro paese era ricco di acqua nascosta nelle viscere della terra,
raccolta su uno strato di calcare impermeabile. Il risultato delle ricerche
di vene sotterrance di acqua erano i tanti pozzi che si trovavano nelle
campagne, in paese, nei palazzi padronali. Questi preziosi scrigni, unici
custodi del vitale liquido, venivano curati e puliti dai contadini, che,
con orgoglio, per valorizzare la loro terra, dicevano: U fonde mì
tè u puzze.
L'eccesso di zelo, a volte, era causa di disgrazia. Data la notevole
profondità del proprio pozzo, un agricollore. per controllare il
lavoro di pulitura, fino in fondo, morì asfissiato.
A pochi metri dalla strada, il pozzo di S. Leo presso S. Paolo e il guado
di S. Lco al passaggio del fiume tra S.Paolo e Serracapriola (oggi non c'è
più nessuna traccia) ricordavano la battaglia del 1053 nelle piane
del Fortore tra Leone lX ed i Normanni. In contrada Boccadoro c'era un pozzo
a tre bocche "è tre vuccagne"
molto frequentato. "U puzze sèléte"
invece dava un'acqua quasi salmastra. A S. Agata "U puzze Chèrdone"
era profondissimo, tanto che è restato il detto "...vè
fenì ndù puzze Chèrdone", per indicare
qualcosa persa, dimenticata, che va a finire in un pozzo senza fondo. L'acqua
del pozzo del convento era ritenuta la migliore e veniva somministrata agli
ammalati.
L'acquaiolo
Oltre i pozzi privati delle campagne, del castelIo, dei palazzi: Castelnuovo
a Portabianchini e de Nardellis a S.Angelo; c'erano anche i pozzi pubblici
utilizzati dai cittadini e alcuni gestiti dai commercianti dell'acqua:
gli acquaioli "ècquèrole". Tra i più
noti ricordiamo Ricciardi Nicola, Giannubilo Armando, Santelia
Michele (Mèrièndoneje), Cacchione (Chèppuccine),
ed altri. Si andava ad attingere l'acqua "ce jéve pe d'acque"
al pozzo vicino al campanile della Chiesa di S. Maria, chiuso nel 1898 (vedi
Zibaldone di Serracapriola). In contrada Defensa dei tre "puzze
da Corte", il primo, chiamato Nocella, molto profondo, dava
l'acqua migliore, venduta dal proprietario Peppino Trombetta due
soldi al barile (20 litri). Accorsati da ragazzi e adulti, questi pozzi
erano corredati di secchi di zinco (tragne), funi, imbuti
di legno, e "manghene" sorta di pulegge di legno
di forma cilindrica, ruotanti intorno ad un asse di ferro. Per cui era agevole
attingere la vitale bevanda. Cosa non facile all' Avellana, dove c'erano
altri tre pozzi, caratterizzati dalle sponde di pietra usurate da solchi,
lasciati dall'attrito della corda, "pe teré è pòze
i tràgne". Fatica spartana che potevano fare solo adulti
prestanti. Vicino al campo sportivo, il Pozzo Nuovo, gestito dagli acquaioli,
era corredato di carrucole "troccele", secchi di
legno e corde, usati soltanto da questi ambulanti. Essi, dopo aver riempito
i barili, "vèrile o mèntégne",
li disponevano a piramide sui carrettini "chèrrettèlle"
trainati da asinelli, per portarli in giro per il paese ai clienti. Durante
le soste, in attesa del rifornimento, stanchi della pausa o eccitati dalla
presenza di una femmina, i ciuchi spesso litigavano, e a farne le spese
erano i barili che si sconquassavano. "I ciucce scèrrijèjene
e i vèrile ce sfàscene". Intanto l'acquaiolo
scaricava i barili nelle "sèrole" dei clienti.
Il contenuto di ogni barile era chiamato viaggio "vijaje"
e frequenti erano le liti fra casalinghe e acquaioli circa il numero dei
viaggi effettuati.
Le cisterne
Surrogati dei pozzi erano le cisterne ("cetèrne"),
che raccoglievano l'acqua piovana dai tetti mediante opportuni condotti.
Diffuse nelle case padronali, ce n'erano nei palazzi de Luca di via S. Anna,
di piazza S. Angelo e di Corso Garibaldi.
I recipienti
Nelle case, l'acqua veniva conservata nelle "sèrole",
grossi orci panciuti di terracotta dalla bocca molto larga, dove s'immergeva
l'inconfondibile (per la forma e per l'uso precipuo) "secchjétte"
di rame, per attingere con parsimonia il prezioso liquido. Per il trasporto
si usava la botte, il barile, il secchio, "a quèrtére".
Si teneva al fresco nelle anfore di terracotta grezza: "u cicene
e a giarre". Per farla bollire si usava il paiolo di rame "chèvedére",
per il bucato il tino di legno "a tine" o la conca
di terracotta. Ci si lavava in poca acqua nel bacile di rame o di ferro
smaltato "u vèccile de fèrrebianche".
Dopo aver defecato nel "chètille", il bidé
portatile era per pochi. Chi, invece, faceva il bisogno in campagna si puliva
con foglie o con qualche pietra... ben levigata. Avere in casa il gabinetto
con pozzo nero era un lusso per pochi privilegiati.
L'Acquedotto Pugliese
Questa condizione idrica a Serracapriola, che diffuse malattie gastrointestinali
e malaria, durò fino al 7 aprile 1933, quando il podestà Castelnuovo
deliberò l'impianto di otto fontanine pubbliche che dovevano erogare
l'acqua del Sele in alcuni punti strategici del paese. Con i lavori di fognatura
e il completamento dell' Acquedotto Pugliese si obbligò i cittadini
a far installare dai primi idraulici "tubbiste"
i gabinetti. Ma l'acqua veniva erogata a stillicidio e le interruzioni erano
frequentissime. Questo disagio durò fino agli anni 80, quando il
progiudice, avvocato Mercurio Galasso, insieme con un comitato di cittadini,
risolse il problema. La presenza continua dell'acqua è condizione
essenziale per il progresso economico e civile di un popolo. Anche se oggi
si consuma acqua in abbondanza, spesso a sproposito, non è pensabile,
specie d' estate, interromperne l'erogazione. Le esigenze delle famiglie
richiedono due o tre bagni per appartamento. Con l'assuefazione alle comodità
si pretende sempre di più. L'acqua corrente dai più non è
ritenuta gradevole, per cui si consumano acque imbottigliate di sorgenti:
naturali, minerali, oligominerali, gassate, curative. Per l'irrigazione
dei campi si utilizzano i pozzi artesiani e gl'invasi. L'uso indiscriminato
di questi mezzi, con la loro violenza, possono inaridire le falde acquifere
e rendere i terreni incoltivabili.
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