Con il nome di Sant'Anna si distingue dai serrani "il fiero
terremto" che la sera del 26 luglio1805, "circa
le ore tre", colpì violentemente la città.
Nella ricorrenza, "ad un'ora di notte", le
due campanelle di S.Anna, dal loro agile campanile a vela, lanciano rintocchi
"a morte". Ricordano e tramandano così alle nuove
generazioni, "l'avvenimento doloroso di quella giornata"
che la locale collettività definisce "segnalata",
cioè nefasta.
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Nell'ambito della chiesa è eretta la "Congregazione di Gesù,
Maria e Sacra Famiglia" i cui "fratelli",
una volta numerosi, indossano sacchi bianchi e mozzette di "drappo
broccato celeste, con galloni dorati".
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È di proporzioni contenute e di essenziale semplicità.
Il suo interno, a navata unica,è dominato da un armonico altare maggiore al quale fanno corona altri quattro laterali dedicati a Sant'Anna (21 maggio 1841), a Sant'Antonio da Padova, alla Madonna di Pompei ed a
San Gioacchino da Nazareth.
La statua che adorna quest'ultimo altare, costata 160 lire, è
opera di Gennaro Sparavilla che la consegnò alla "fratrìa"
di Sant'Anna il 1° Aprile 1890. Nella chiesa campeggia un organo "di
legno indorato infisso al muro, con due mandici ed a nove registri".
È conservato discretamente, ma è muto d'armonie.
La nascita della chiesa ha radici lontane. Nacque come "cappella"
per le necessità spirituali dell'attiguo "ospedale"
e fu rifatta nel 1741/1742. Il "decurionato" serrano
(l'amministrazione comunale del tempo) contribuì al suo restauro
versando 10 ducati.
Per dotare la chiesa di un "coro per uso dei confratelli"
fu necessario ampliarne le strutture murarie che vennero prolungate verso
il Borgo. La lungaggine della costruzione impedì il culto che si
praticò nuovamente dal 1° gennaio 1838.
Nella chiesa, riferimento essenziale dei fedeli del quartiere, la liturgia
è oggigiorno limitata alla domenica mattina ed alla novena che si
celebra in preparazione alla festa titolare del 26 luglio. Fino a qualche
lustro fa, durante la novena di San Mercurio martire, il simulacro di sant'Anna
veniva traslato nella collegiata omonima ed il 5 settembre esso sfilava
a processione per le vie cittadine, accompagnando il protettore di Serracapriola.
Per la centralità territoriale che occupava nel primitivo tessuto
urbano, l'edificio della chiesa, in particolari momenti storici d'Italia,
fu adibito a funzioni "profane". Servì da
seggio elettorale - (votanti 751 - Presidente Cesare Finizio, sindaco della
città) - il 21 ottobre 1860 quando Serracapriola si espresse per
l'annessione dell'ex Regno delle Due Sicilie a quello di Vittorio Emanuele
II.
Durante la lotta al brigantaggio meridionale fu "quartiere"
per la truppa italiana che l'occupò abusivamente dal 1861 a marzo
1864. Fra i soldati acquartierati nel sudiciume della chiesa scoppiò
con "virulenza nell'ottobre 1862" il tipo petecchiale
che "durò fino a tutto il 1863". Da lì
entrarono nella morte anche alcuni civili contagiati; fra essi, il 30 dicembre
1863, il medico trentottenne Nicola Altamura, figlio di Michelangelo e di
Celesta de Iudicibus, sindaco in carica di Serracapriola.
L'occupazione militare non consentì la pratica degli atti religiosi
nel piccolo tempio.
Allorquando i fanti in partenza mollarono "la preda",
i fratelli lanciarono urla di gioia. Gli entusiasmi iniziali furono subito
raffreddati verificando lo stato della chiesa. Essa apparve devastata e
"della suppellettile depauperata": l'organo "precipuamente
restò guasto ed inutilizzato". Al termine di un restauro
lungo e laborioso ad esso ridiede voce, durante la novena di Natale 1869
- la bottega dell'organaio Antonio D'Onofrio da Caccavone (oggi Poggio Sannita,
comune dell'isernino). Stimolati dalle parole alate e dalle esortazioni
supplici e fiere del canonico Luigi Facciolli, delegato (26-5-1865) dal
Vescovo diocesano mons. Francesco Giampaolo a "riconciliare" la
chiesa, si mossero in soccorso di Sant'Anna non soltanto i "confratelli",
ma anche i cittadini serrani. Pur alle prese con l'economia stagnante dei
tempi, venne praticata alle strutture un lifting generale che portò
la chiesa a riaprire ben presto i suoi battenti. All'aleatorio subentrò
il certo, al disarmonico il bello, irrobustito da donativi privati. Luigi
T. donò il "lampione grande a 12 lumi sospeso in mezzo
alla chiesa", Giovanni D.L. i "quadri sopratela"
di San Luigi Gonzaga e della Crocefissione del Nazareno, Domenico P. la
statua di Sant'Antonio da Padova e la baronessa P.F. "la veste
di seta ricamata in oro ed il manto di seta bianca alla statua di Gesù
e Maria".
Il 12 giugno 1865, la statua di Sant'Anna e le altre che arredavano la
chiesa, vennero traghettate "processionalmente dalla collegiale
chiesa di Santa Maria in Silvis". Erano state lì depositate
durante l'intera vacanza di culto. Subito dopo,col concorso "di
molti divoti si adempì con pompa alla religiosa funzione e con solenne
sparo", si cantò messa parata dal canonico Facciolli
(Ý 17 ottobre 1870). "La sera, anche con sparo",
si cantò "una litania".
Nel 1884, ai muri perimetrali della chiesa "essendo cadente
si dovettero... mettere le catene di ferro". Contemporaneamente
vennero eseguiti altri "accomodi nel campanile e nell'interno
della cappella, facendola benanche pittare". Per l'organo ci
fu un nuovo restauro nel giugno 1914, mentre nel 1922 fu necessario operare
"la raccomodazione della tettoia della chiesa".
Per fronteggiare le spese necessarie, lire 1940 e centesimi sessantacinque,
fu necessario vendere a Napoli il 1O agosto 1922 l'oro di Sant'Anna e della
Madonna di Pompei che fruttarono lire 1705 e cinquanta centesimi. Già
nell'ottobre 1888, il priore dell'epoca fu autorizzato a vendere 36 anelli
d'oro (più altri quattro che ornavano le dita di Sant'Anna) ed un
"paia di bottoni semplici".
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Nel passato dire Sant'Anna non solo significava culto, ma anche assistenza.
Sotto quello stesso nome era funzionante, infatti, un "ospedale".
Non era un presidio di cura nell'attuale accezione della voce, ma un asilo
di accoglienza, ad alta valenza sociale, aperto ai bisognosi che vi ricevevano
conforti e carità. Da quella peculiarità funzionale prese
corpo nella parlata locale la colorita locuzione "a' mura' mur
ch' sént'ann'" ancora viva nell'attuale vernacolo insieme
con il lemma "spedélét", i cui chiari
significati, inzuppati di "nuance" spregiativa, riconducono entrambi
ad una povertà povera e palese.
In Serracapriola "l'ospedale'' funzionava già
nel 1597, ma fu cancellato dal sisma del 1627 Venne poi riproposto "ben
formato, colle stanze bastanti a ricevere i poveri e...i pellegrini".
"Situato nelle case sporgenti in piazza" degli Zingari
(poi largo Sant'Anna, oggi Piazza Umberto 1) campò fino al 1799,
anno in cui fu "soppresso nella rivoluzione" della
Repubblica Partenopea. Si tentò di riaprirlo e di ampliarlo verso
il 1802 sfruttando il materiale erratico proveniente dalla distrutta chiesetta
di San Rocco sui cui ruderi venne costruita l'ala femminile dell'Edificio
Scolastico elementare "San Giovanni Bosco".
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