SÌ, SÌ – NO, NO / A DIFESA DEL BIANCO a cura di Giuseppe Gentile
L’architettura del meridione, simile a quella dell’Africa Settentrionale, della Spagna, della Grecia, del Levante, è indiscutibilmente diversa da quella del resto d’Italia. Viene trattata marginalmente dalla storia dell’arte che dà importanza all’architettura monumentale di chiese e palazzi a discapito della genuinità che caratterizza la comune abitazione, pur inserita nel contesto globale dell’urbanizzazione. Comune abitazione della civiltà contadina che è stata rivalutata e presa in considerazione ai fini del restauro conservativo.
Come più volte è stato detto la tipicità del tessuto urbano del borgo antico di Serracapriola che la Storia ci ha consegnato è il mattone deformato prodotto artigianalmente, il bianco di calce e la pietra di Apricena. Il tutto ci porta alle non opinabili soluzioni del restauro conservativo: mattoni a vista, bianco, o il loro abbinamento.
Il canone fondamentale, caratterizzante, di questa architettura è il bianco-calce. Insostituibile, perché piatto, rustico, immacolato come l’ostia consacrata. Brillante e a un tempo casto e nobile. Semplice, non contaminato da altro colore. Pratico, la mano di un bambino può ritoccare la parte sporca di una parete. Un sacramento che purifica, dentro e fuori, la casa restaurata in un’atmosfera pasquale e liturgica di rinnovamento. Siamo disabituati ad apprezzare la purezza del bianco, il suo inalterabile candore che non infastidisce mai l’occhio.
Oggi le brutture e il cattivo gusto, fuori dalle soluzioni su esposte, non mancano e sono sotto gli occhi di tutti. Ce li portiamo dietro da tanti anni e diabolicamente prolificano. Ce li ricordano i turisti dei mesi estivi. Peccati di superbia riconducibili ad arbitrari “gusti” soggettivi dettati da un modernismo ubriaco di una gamma infinita di colori dove ognuno attinge per distinguersi o essere originale. Con il colore scelto si tinteggia, falsificandola, la propria casa rifatta, immersa in un cromatismo caotico. Si è tradito il bianco forse perché ci si vergogna delle origini povere, come se la povertà fosse una colpa, un peccato mortale. E, pur di voltargli le spalle, si ripiega, quando non si eccede con il giallo (veleno per il restauro conservativo serrano), il terra di Siena, l’ocra o il color mattone, sui toni chiari: paglino, avorio, marroncino.
Lasciano però ben sperare per il futuro gli esempi gratificanti dei restauri conservativi, dove trionfano il bianco e i mattoni a vista, del convento dei cappuccini “Padre Pio Giovane” voluto dal frate Antonio Belpiede, della palazzina in Largo S.Mercurio di Fortunato D’Alessandro e Michele di Cesare da loro stessi restaurata, del locale di Rosamaria Giacci, il cui progetto di restauro è stato da lei stessa curato nei minimi particolari, del locale di Sanzio Merigioli in via XX Settembre n. 10 da lui stesso restaurato e di altri fabbricati che andremo a indicare nel corso della rubrica.
Il convento dei cappuccini di Serracapriola, dove dominano in perfetta armonia il bianco, i mattoni a vista e la pietra di Apricena, è il simbolo del restauro conservativo serrano, voluto nel 1998 dal frate Antonio Belpiede da Cerignola, Guardiano e Assistente Regionale Ordine Francescano Secolare e Gifra. Il convento, a rischio di chiusura, è diventato Casa di Accoglienza “Padre Pio Giovane” e sede dell’Assistente Regionale. È ancora in restauro per curare nei minimi particolari sia la struttura del fabbricato (con una parte del tetto pericolante) la cui cantina è adibita a museo, sia tutto l’arredo e le opere d’arte sacra compreso il crocifisso ligneo miracoloso e la tavola della Madonna delle Grazie di Francesco da Tolentino, venerata da serrani e chieutini, la cui festa si celebra il 2 luglio. Attualmente (agosto 2009) i frati minori cappuccini chiedono l’aiuto dei pellegrini e del popolo di Serracapriola e Chieuti per l’ultima fase del restauro riguardante il tetto da ristrutturare per un costo di 450.000 euro, di cui una parte è stata già completata con i proventi della comunità provinciale.
La palazzina ad un piano, in via Largo S.Mercurio, civici 3 e 5, un tempo era di Filippo Ricci, poi fu venduta a Giorgio d’Adamo. Dopo il 1949 fu aperta un’altra porta d’ingresso per ottenere un alloggio indipendente rispetto alla parte più grande della casa. Nel 2000 gli eredi d’Adamo vendettero il fabbricato a due maestri muratori serrani: Fortunato D’Alessandro, acquirente dell’alloggio più grande e Michele di Cesare dell’altro. I due artigiani hanno restaurato mirabilmente la struttura con i mattoni a vista e il bianco sia della parete sud del sottotetto che della pietra di Apricena dei due portali d’ingresso e dell’architrave della finestrella della cantina, apportando piccole modifiche senza snaturare l’aspetto originario del complesso.
L’isolato su Corso Garibaldi orientale, tra via Poerio, via Aurelio Saffi e via Dante Alighieri, costruito dall’impresa Gallo, comprende tre abitazioni. La prima al civico 113, un tempo di Vitaliano Giacci (1853-1924), conserva gli archi a tutto sesto in pietra di Apricena dei portali dei balconi, ma è stato snaturato dal “graffiato celeste” all’angolo di via Poerio e dal portone d’ingresso. La seconda al civico 109 di Daniele Giacci (n.1854) e la terza al civico 107 del figlio Annibale (1883-1943), a tutt’oggi non hanno subito trasformazioni tali da snaturarne il progetto originario. Sono bene inseriti nel contesto dell’isolato il negozio di abbigliamento Fior di Loto al civico 111 e il negozio di bibite e liquori di Casimiro Balice al civico 109.
Degno di attenzione è invece il recente restauro del locale di Rosamaria Giacci al piano terra del palazzo Giacci al n. 2 di via Aurelio Saffi, ex sede del Circolo Francescano, il cui progetto dei lavori di restauro è stato curato nei minimi particolari personalmente dalla proprietaria del locale. I mattoni a vista che mettono a nudo le trasformazioni effettuate dalla mano dell’uomo nel tempo raccontano la storia della struttura, dove nel passato c’era l’oleificio di Annibale Giacci. Il bianco di alcune pareti rinfresca e alleggerisce il locale rispettando la tradizione. Il ferro battuto degli infissi, l’antica trecciolina dell’impianto elettrico esterno a parete e il pavimento di parquet completano l’ottimo lavoro di restauro. Il locale è stato inaugurato il 5 luglio 2009 dall’Associazione Culturale Il Melograno con una mostra di cappelli da donna collezionati da Marilù Piccoloantonio di Torremaggiore.
La casa ai civici 8 e 10 di via XX Settembre, composta di due vani al piano terra e due al primo piano, fu venduta il 26 novembre 1937 dai fratelli Nilo, Pietro e Vincenzo Camillo fu Michelangelo a Sanzio Merigioli (1898-1970). Gli eredi del nuovo proprietario, Aurelio (1930-2008) e il figlio Sanzio (cl.1967), nel corso degli anni hanno continuato a tinteggiare sempre di bianco sia l’esterno che l’interno dell’abitazione, rispettando la legge impressa nel cuore di chi ama il proprio paese. Di recente Sanzio, ha restaurato da solo il locale a pianterreno, civico 10, riportando alla luce, in un unico ambiente, i mattoni a faccia vista delle due volte a crociera con le fughe di pozzolana. Su due pareti, tutte rigorosamente tinteggiate di bianco, sono emerse due travi di cerro durissimo, messe a sostegno dei muri, che il restauratore ha voluto lasciare a vista. I mattoni nostrani, il bianco, la pozzolana, le travi di cerro conservano la storia della casa di Sanzio Merigioli, in via XX Settembre nel cuore del Centro Storico.

NO, NO in via Castagnaro, in via S.Antonio Abate, in piazza Martiri di Via Fani