Era massiccia (14 palmi) ed alta (20 palmi), per dare sicurezza palpabile all'abitato ed alla sua gente quando si navigava in tempi densi di incognite. Al suo fianco, leggiadra e agile, una torre campanaria scrutava a 360 gradi orizzonti lontani. Al calar della sera lei, la"portella", al pari degli altri accessi al paese, veniva sprangata dopo i rintocchi dell'Ave Maria.
  Snaturata nel suo ruolo originario da un processo innovativo che interessò l'intero nucleo urbano dopo la prima metà del 1700, la "portella" divenne la cerniera fra "a tèrr e for port". Circa un secolo dopo, mentre l'amministrazione comunale era retta dal dottor Giulio Castelnuovo, il fossato castellano prospiciente la "portella" venne colmato e nella slargatura venutasi a creare essa si trovò isolata "com nu' sticch". La struttura muraria, esposta alle intemperie, senza manutenzione e carica d'anni, a poco a poco, entrò in agonia rovinandosi seriamente ai basamenti. Si temeva per la sua stabilità e il professor Giuseppe de Leonardis, storico e critico letterario, tornando nella natìa Serracapriola nel 1886, distillando problemi e storie paesane, ne preconizzò il suo smantellamento.
  Ma per la "portella" una prima risoluzione ufficiale venne varata soltanto nel 1898. In quell'anno. il consiglio comunale cittadino, con deliberazione del 29 marzo, sancì il restauro conservativo della "torre dell'orologio" (progetto ingegner Facciolli) ed il diroccamento della sola "portella". I lavori relativi vennero dati in appalto il 17 gennaio 1899 al muratore serrano Aurelio Bucci che, prima di porre mano all'opera, si ammalò gravemente (t 1902). Per questo motivo tutto il complesso fortificato - da taluni considerato "ingombro senza pregio né storico, né artistico" restò allo statu-quo, abbandonato sempre più a se stesso.

* * *

 L'alba italiana del XX secolo, salutata da speranze di progresso civile e di crescita economica, si tinse drammaticamente di rosso il 29 1uglio 1900 con l'uccisione di re Umberto I. Serracapriola si associò al lutto nazionale promuovendo manifestazioni e riti religiosi. L'avvenimento non arrestò il ritmo della vita serrana: nel paese si formarono nuove coscienze politiche, si sviluppò ulteriormente la prima associazione socialista nata alla fine del secolo precedente come alternativa ai partiti locali "tradizionali", si elaborarono progetti di opere pubbliche, a volte mirabolanti. A "Palazzo Arranga" esplose nuovamente la vicenda "portella" e la "querelle" lasciata accantonata in un crespuscolo senza bagliori - divenne il leit-motiv di quel momento storico. Il consigliere Florindo Magnacca, nell'adunanza consiliare del 26 novembre 1904, propose l'abbattimcnto globale della struttura.
  La relativa discussione fu vivacizzata da una sequela di scaramucce verbali degli amministratori deliberanti. Nella votazione finale si registrò il voto contrario del sindaco dr. Luigi Gatta e l'astensione dell'assessore Pasquale d'Adamo.
  Gli altri eletti, Giuseppe Castelnuovo, Alessandro Castelnuovo, Pietro de Luca, Filippo Ricci, Francesco Presutti, Giovanni de Marzio. Giacinto Centuori, Fortunato Cardascia ed Alfredo de Luca diedero il placet per la demolizione del complesso. La decisione espressa dal vociante consesso cittadino non raccolse i favori dei serrani, le disapprovazioni popolari che seguirono indussero gli amministratori a una pausa di riflessione sul provvedimento adottato, il cui iter attuativo subì un "velato" rallentamento.

* * *

 Osteggiata da un'opposizione che si ispirava all'avvocato Alfredo de Luca, il 23 maggio 1905 il sindaco Gatta rassegnò il proprio mandato elettorale. Serracapriola fu chiamata a rinnovare il consiglio comunale il successivo 18 giugno. Il popolo sposò nuovi vincitori; dal 27 giugno al 12 luglio 1905 la gestione amministrativa del municipio venne delegata al veterinario Francesco Presutti. L'ansia dell'evoluzione urbanistica di un paese che aspirava a divenire città rispolverò, in quello scampolo di tempo, il sopito provvedimento distruttivo.
  Con ammirevole tempestività tacquero i din-don della torre settecentesca che tante volte avevano chiamato a raccolta i serrani lontani dalle mura e sparì la "portella", malata terminale senza medici al capezzale.
  Ambedue le strutture, senza saluti e sorrisi di circostanza, furono spianate a veloci colpi di piccone. Il bisticcio delle picconate risparmiò soltanto la statua di pietra dell'Arcangelo Michele che dall'alto della "portella' proteggeva la crescita del "borgo". Recuperata dalle macerie essa venne poi inglobata nel fusto del campanile di Santa Maria in Silvis. Dallo sfasciume del complesso prese forma una piazzetta "à la page" aperta a visuali ampie, spazzate ed ossigenate dal potente maestrale.


 u' 'mbuzacul da purtéll'

  Era il trastullo collettivo e gratuito che incantava le folle serrane del passato e vedeva contrapposti creditori e obbligati. Rivincite sottili per gli uni, umiliazioni cocenti, che odoravano di biancheria intima, per gli altri.
  L' antico rito si svolgeva sotto l'arco della "portella" ove giaceva, afona e smemorata, la pietra del "vituperio".
  Alla presenza del creditore, impettito dal rango, "u pêghêzolf", protagonista du' 'mbuzacùl, si esponeva passivamente agli sberleffi e agli sputi prodigatigli senza lésine, da "sfrugulianti" astanti sbizzarriti a far svolazzare in ogni dove il fantasma di Cambronne.
  Coniugando miserie e labilità umane, "u pêghêzolf" si affrancava dalla pendenza debitoria e riacquistava la faccia perduta calandosi corampopulo le brache non una, ma tre volte.
  E per tre volte, come copione serrano imponeva, ossequiando l'impietosità del numero perfetto, lanciava al mondo circostante uno stentoreo, saziante e svincolante "t'éie péghét, t'éie péghét, t'éie péghét".