All'alba di santa Rosalia la fiera era già fiera. Una fiera firmata don Andrea Gonzaga.
  Da quel casato la manifestazione fiericola ebbe impulsi ed incrementi che la trasformarono in una vetrina indispensabile all'economia esangue di quei lontani momenti. Con i numerosi "espositori" che spaziavano in ogni settore, la rassegna offriva alle centinaia e centinaia di visitatori, anche dei centri viciniori, l'approvvigionamento vitale alle esigenze dei tempi.
  Fra sarabande di suoni, di voci e di affaccendati sfaccendati, si aggiravano immancabili gli zingari. Vendevano equini e generalmente equini di scarto. In quegli affari concentravano la loro astuzia più sottile e la loro superlativa inclinazione all'inganno e al raggiro. Con le cure energiche e sapienti che sapevano prodigare ai quadrupedi, loro unico capitale, gli asini più spedati, i ronzini più bolsi, i muli fiaccati dai più inguaribili guidaleschi, rifiorivano in salute quasi anelassero scalpitanti alle corse.
  Durante la sosta in Serracapriola, per l'improcrastinabile quotidiano, si arrangiavano come potevano. Privilegiavano il piccolo furto. La ruberia era la loro risorsa sistematica. Era il genio tutelare di quei nomadi per i quali era postulato il distico della musa indigente:

je rrobbe de chémpegne,
chi 'rrive, magne.

Ma non si limitavano soltanto a ciò. Dal loro connaturato istinto di rapina non era al sicuro nemmeno quella custodita nelle case poiché le zingare ignoravano l'altro distico che, integrando il precedente, recitava:

a robbe 'ndu chésciòne,
jé de Die e du pétrone.

  Nel tessuto urbano i pericolosi nomadi sorgevano dal nulla. La loro presenza nel panorama fieristico locale era la iattura delle galline a libero pascolo nei vicoli e nelle vie. Speciale era l'abilità che avevano nell'attirarle. Di prestigiatore era la loro destrezza nell'acciuffarle e nasconderle sotto le vesti fruscianti e nell'impedirne il chiocciare. La ruspante, ghiotta preda, volava all'estemporaneo accampamento periferico ad onorare l'ebollizione veloce "du puzenétte", fra l'aspettazione del clan gitano.

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  La fiera di santa Rosalia, in tempi più freschi ancorata alla ricorrenza del patrono Mercurio, sopravvive oggi asfittica e vegetale. Il suo volto scarno è segnato di rughe profonde. Rarissimi i venditori di bestiame che spaziano nei pressi dell'Avellana e delle sue adiacenze. Ancor più rari gli acquirenti di acquisti superati ed annullati da un benessere decollato verso movimenti orbitali diversi.
  In queste variazioni di variate necessità, alla fiera di "Santa Ruselén" si è affiancata un mercato eterogeneo e polivalente.
  Il Corso Garibaldi, lo stradone Ferdinando de Luca, la Piazza Vittorio Emanuele III, sono invasi da bancarelle e baracche che si annodano tra di loro, abbondanti di prodotti delle industrie., con il superfluo che batte il necessario. E più facile trovare in vendita jeans e magliette confezionate all'estero che non i prodotti tipici della manuale creatività dei rari artigiani nostrani, epigoni nobili di un rarefatto fasto passato.