Cèrquele, n. f. – Quercia – Sostantivo invariabile femminile (che al plurale l’articolo i rende maschile) che indica la maestosa e nota pianta sacra a Giove; oggi sempre più rara nelle nostre contrade, ma un tempo regina dei nostri boschi. Cèrquele deriva dal latino quercus. La pronuncia, che nel latino classico era kerkwus divenne querkus nel latino popolare di Roma e dintorni verso il II-III secolo d.C., divenne invece cerkwus nel latino popolare del centro sud Italia ed è dal suo diminuitivo cerkwula (quercetta) che verso il VI-IX secolo d.C. derivò il nostro cèrquele. Alfredo de Luca nel suo libro, pubblicato nel 1915, scrive che a Serracapriola…Vegetano benissimo arrivando a forme gigantesche le querce in genere – quercus robur, quercus pedunculata, quercus sessiliflora, quercus cerris, cerro, quercus ilex, elcio - … Il durissimo cerro, il rovere, meno duro e resistente del precedente ma più facile da lavorare, e il leccio resistentissimo e assai compatto, erano alcuni legni che i nostri falegnami e carradori si sceglievano nei boschi, marchiandoli con un martello su cui erano impresse le iniziali del loro nome e cognome. Si aveva cura però di sostituire con nuove piante gli alberi tagliati, nonostante l’abbondanza delle specie, ben consci che senza il ricambio la desertificazione è assicurata. Oltre che nei boschi i viottoli delle campagne e le strade erano costeggiate da filari di querce. Man mano il disboscamento si fece strada. Nel 1876/1884 il bosco Boccadoro fu dissodato e messo a coltura ….Dissodati quasi tutti i boschi che popolavano queste terre e messe a coltura e dettero raccolti ubertosi. Un esempio emblematico dell’amore che i nostri avi avevano per le querce ce lo danno gli ultimi esemplari ultrasecolari rimasti a Montesecco nei terreni seminativi dell’azienda Finizio, che si presume siano scampate al disboscamento della contrada. Dal 1800 Antonino Finizio continuò la tradizione paterna di conservare a tutti i costi queste piante che lasciò in eredità al figlio Nicola. Quest’ultimo, in caso di bisogno, preferiva tagliare gli olivi al posto delle querce e educò i figli Nestore e Pompilio ad aver cura di questi alberi secolari anche dopo la sua morte. Il terzo genito di Nestore, Antonino (erede del padre e dello zio) e il figlio Roberto, agronomo, s’impegnano a tutt’oggi per salvare gli esemplari rimasti (fra le 103 querce del 1967 e le 81 del 2001), dagli attacchi dei parassiti cossus cossus e rodilegno e da altre cause naturali. Tempo fa – dice Antonino – mio figlio agronomo mi ha fatto notare la potatura d’allevamento a una giovane quercia, sbagliata, perché dovevo lasciarla intatta. Commosso, ho capito che le querce di Montesecco vivranno ancora a lungo. Oggi gli altri pochi alberi rimasti nell’agro sono abbandonati al loro destino. Quando la motosega tra un taglio e l’altro si riposa ci pensa il fuoco a dar loro una lenta agonia. Nella superficie boscata del comune di Serracapriola, di circa 600 ettari, e nella campagna predomina ancora la quercia, mentre sul litorale adriatico il pino. Il bosco ceduo di specie quercine “Quercus pubescens”, comunemente detta Roverella, chiamato S.Leucio-Monacesca, di proprietà degli eredi Cacchione, si estende per circa 70 ettari, ma è degradato da incendi e dalle scarse precipitazioni piovose. Il bosco ceduo di Canale Capo D’Acqua, fortemente degradato, di proprietà privata, ha 40 ettari circa di specie Quercus pubescens, Quercus ilex, Roverella e leccio. Il bosco di Castellaccio, una volta incantevole oasi di fauna e flora, di proprietà privata, è ridotto a pochi ettari fortemente degradati dal disboscamento selvaggio. La contrada, di 2500 ettari, è zona di ripopolamento faunistico-venatorio e cattura. Anche nelle contrade Maddalena, Tronco, Avena, Vallone della Morgia, Pettulli, ci sono ancora piccole zone boscate. Sul litorale adriatico si trovano due boschi di proprietà privata: il primo, denominato Longara, d’alto fusto di Pino D’Aleppo “Pinus halepensis”, si estende per 40 ettari nei pressi della foce del fiume Fortore, spesso devastato da incendi, e il bosco, “Le Marinelle-Torre Mozza”, ad alto fusto di Pino d’Aleppo e Eucaliptus di origine artificiale di circa 100 ettari. Secondo il Fraccacreta, a Serracapriola il Borgo nel 1834 terminava ad oriente in via Manzoni e ad occidente in via delle Grotte. Nel 1883 venne sistemato con viali, marciapiedi e acacie. Dal 1900 in poi, inizialmente con il sindaco dott. Luigi Gatta (1901-1905), e dopo per completare la penultima parte dei viali, con l’amministrazione di Giuseppe Castelnuovo (1905-1906), questi alberi furono sostituiti con lecci. Quando il Borgo, denominato Corso Garibaldi, fu prolungato fino agli edifici scolastici completati furono messe a dimora altre piantine di lecci per definire i filari alberati dei due viali. Per quanto riguarda gli alberi questo nostro gioiello ha assunto oggi il suo aspetto definitivo. Queste ed altre piante ornamentali, protetti da vincoli legislativi di tipo “Paesaggistico” T.U.L.A. n. 490/1990 e “Idrogeologico” R.D.n.3267/1923, necessitano di cure e potature appropriate (non sempre necessarie), da farsi con competenza e nelle stagioni giuste. 



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