LE REGOLE del dialetto serrano
Cerèsce
dal n.8 anno VII de "La Portella "Giuseppe Gentile

Cerèsce, n.f. - Ciliegio – Ciliegia. Toscano, ciliegia. Rumeno, cirèsce. Napoletano, cerase. Greco romaico, cerasa. Latino, cerasus = greco, kerasos, forse deriva dalla radice kar = kra, essere duro (per la durezza del legno dell’albero o del nocciolo del frutto); oppure kor-nus = greco kra-nos, corniolo. Altri lo fanno derivare da Cerasunte, città del Ponto dal quale Lucullo lo importò in Italia nel 71 A.C. Infatti il ciliegio è originario dell’Asia minore.
Il ciliegio appartiene alla famiglia delle Rosaceae, alla sottofamiglia delle Pronoideae e al genere Prunus. Per la coltivazione ci sono tre varietà di ciliegi. Il Prunus mahaleb (magaleppo), viene utilizzato per portinnesto. il Prunus avium , a cui appartengono i selvatici e le tenerine, produce le ciliegie dolci, tenerine a polpa tenera e duracine a polpa dura. Il Prunus cerasus, acido, produce invece le amarene (dal colore rosso chiaro e succo incolore), le visciole (rosso scuro con succo scuro) e le marasche (frutto piccolo, rosso scuro con succo rosso intenso).
Il ciliegio, anche se si adatta a diversi climi, predilige i climi miti senza sbalzi di temperatura. Non sopporta piogge abbondanti durante la fioritura e la maturazione. Le esigenze podologiche del Prunus Avium, la varietà più diffusa in Italia, riguardano terreni leggeri, di medio impasto.
A Serracapriola i ciliegi, abbastanza diffusi e curati amorevolmente dai nostri contadini, erano sparsi negli oliveti e nella campagna. Forse non abbiamo mai avuto nel nostro agro un ciliegeto, coltivato razionalmente. Per le strade, sulle sedie appese vicino alle abitazioni dei produttori, c’erano piatti e cestini colmi di frutta in vendita. I bambini avevano il compito di andare a chiedere al vicinato “Vulisse nu piatt de cerèsce frische?”. Parte del prodotto stagionale, (premoteche, munechèll, cocchèvèllute, crugnèle,) veniva venduto a schiena d’asino fuori paese. Alfredo de Luca nel suo libro “Serracapriola Appunti di Storia e di Statistica”, scritto nel 1915, così si esprime a riguardo “….Per lo smercio delle frutta….vi è incettazione da qualche anno per parte dei compratori forestieri, che mandano le nostre ciliegie persino in America, ma il massimo commercio seguita a farsi dai contadini produttori, che a schiena d’asino si recano per i paesi vicini vendendo i loro prodotti.”
Non doveva mancare però la trasformazione del prodotto per il fabbisogno familiare. Le ciliegie duracine venivano messe sotto spirito. Le altre trasformate. Si ottenevano le marmellate di ciliegie e di amarene; sciroppi e rosoli. Naturalmente la creatività della massaia dava un tocco di originalità al rosolio di ciliegia fatto in casa. Poi l’industria, cominciò a diffondere sempre di più le confetture e le essenze per liquori. Le ditte Gubra, Carlo Erba, Ignazio Curci e altre davano in omaggio agli acquirenti dell’estratto per liquore l’etichetta da applicare sulla bottiglia del prodotto finito (alcool puro+acqua+estratto+zucchero). Oggi a Serracapriola soltanto due o tre negozi vendono gli estrattini per liquori, della “Bertolini-Champdepraz(AO)”, ma in numero limitato. I più preferiscono i prodotti industriali confezionati: il Chèrry brandy, il Ratafià, ottenuti dalle drupe molto acide del Ceraso (Prunus cèrasus) e il Maraschino ottenuto dall’Amarena o Marena (meréne) (Prunus Marasca) che ha drupe di colore rosso-cocciniglia, più o meno dolci.
Oggi i ciliegi rimasti nel nostro agro vengono curati dai coltivatori nei ritagli di tempo, quanto basta per il fabbisogno familiare. Qualche raro contadino continua a raccogliere i cerèsce e vederli in casa agli affezionati clienti del prodotto locale. Si vedono invece frequentemente gli ambulanti che ci vengono a vendere le ciliegie in esubero prodotte in quantità nei cultivar (valorizzazione degli impianti con materiale genetico) di aziende pugliesi.
la Puglia infatti ha il primato su tutto il territorio nazionale per la coltura del ciliegio insieme con altre tre regioni, Veneto, Emilia Romagna e Campania, che arrivano a produrre fino a 130 mila tonnellate annue, superando di poco l’80% della produzione italiana di ciliegie.
In Italia questa coltura si sta espandendo notevolmente. La produzione media annua supera le 150 mila tonnellate di prodotto su una superficie nazionale di circa 30 mila ettari.
L’interesse per questa drupacea è risorto grazie alla richiesta europea per un prodotto di qualità per il fresco. Questo ha incentivato sul territorio nazionale la ristrutturazione degli impianti esistenti per avere un prodotto di eccellente qualità, al fine di soddisfare le richieste di mercati sempre più esigenti. La perdita d’importanza di cultivar tradizionali privi dei necessari requisiti, come afferma il prof. Angelo Godini dell’Istituto di Coltivazioni Arboree - Università degli Studi di Bari -, per una decorosa collocazione sul mercato europeo è stata compensata, in un primo momento, con la rivalutazione di genotipi assai pregiati che potevano vantare ugualmente origine locale o presunta tale e diffusione tradizionale. Tra gli esempi più significativi a riguardo ci piacerà ricordare, in particolare, quelli di “Mora della Punta” e di “Mora di Verona”per il Veneto, di “Durone dell’Anella tardivo”, e di “Nero II”per l’Emilia- Romagna, di “Ferrovia” per la Puglia…..Ad oggi è possibile rilevare che le cultivar di ciliegio valutate sono in totale 41.
Le ciliegie Bigarreau maturano da maggio a giugno, le Nero e le Ferrovia a giugno, le Anella da fine maggio a giugno. Sono da gustare fresche, possibilmente quando hanno la polpa soda, il colore brillante e uniforme, la buccia senza macchie, screpolature, ammaccature o parti annerite. Esse sono un ottimo depurativo. Il loro zucchero (il levulosio) è ben assimilato anche dai diabetici. La tisana ottenuta con i gambi di ciliegie risulta essere un efficace diuretico.




























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