I primi ambulanti erano i produttori di derrate agricole, contadini che nelle pause di lavoro andavano anche nei paesi vicini a cercare clienti esercitando anche il baratto. In questo caso avviene la Vendita Diretta, cioè i passaggi fondamentali del commercio vengono espletati tutti dal produttore stesso e il bene passa direttamente dal produttore al consumatore.
“Il paese contemporaneamente importava ed esportava ortaggi. Importava le primizie, fagiolini, piselli, fave, da Campomarino; le patate da Torremaggiore, S.Giovanni Rotondo, Margherita di Savoia. Esportava poi nella limitrofa provincia del Molise indistintamente tutti i prodotti dell’orto che su quei mercati venivano ben quotati, specialmente i pomodori assai dolci e colmava i vuoti dell’esportazione con ortaggi della stessa specie, se non proprio della stessa qualità che da San Paolo venivano venduti a prezzi più bassi (da “Serracapriola A.di S.e S.” di A.De Luca)”.
Nel nostro agro c’erano numerosi alberi da frutta sparsi negli oliveti e vigneti e si raccoglieva tanta frutta di qualità. Nel 1834 da maggio a novembre solo su S.Severo arrivarono trenta some di frutta al giorno oltre a quella diretta a Foggia, Larino e Termoli. I commercianti esportavano le nostre ciliegie persino in America. I fratelli Cinelli da San Severo e altri commercianti all’ingrosso di Bari venivano a comprare grossi quantitativi di mandorle. Ma la vendita continua era quella fatta dai tanti piccoli produttori che a schiena d’asino si recavano nei paesi vicini per vendere o barattare con altri prodotti le loro primizie. All’alba, nelle strade impregnate di forti e invitanti profumi di colazioni a base di peperoncini e pomodori fritti, si sentivano i contadini invitare le moglie e i figli a preparare il materiale per la partenza:- Chèl’è basce i spertune pe fè a some, chè mè i fóre tèrre- (Porta giù i corbelli per fare il carico, perché dobbiamo andare fuori paese). La vendita capillare sul posto, porta a porta, spettava ai bambini: –Vulisse nu piatte de scerèscè frische –. Sulle sedie appese ai muri i piatti colmi di frutta stagionale propagandavano ulteriormente la vendita. Le gelse (civeze), gli specchi di fichi secchi (sperchièle de fiquerèsécche), le giuggiole (jèjèle, vulivè doce), una specie di prugne scure, piccole e rotonde, dolcissime (chèschèville), le sorbe (sòrve), le carrube (vèinèlle), i corbezzoli (mbrejèchélle), le nespole di bosco, le mele cotogne (chetógne), le mele gaetanelle (méle chèitènélle), erano alcune varietà di frutta oggigiorno diventata rara, anche perché non più apprezzata. Queste ultime, sode, basse e panciute, dalla buccia dura, color giallo verdognolo intenso, profumatissime e gustose, venivano raccolte in gran quantità dai contadini in autunno. Le vendevano a quintali ai clienti abituali che si facevano la provvista per tutto l’anno. Nelle case le gaetanelle venivano conservate nei doppi fondi dei comò e la loro fragranza impregnava la biancheria e l’ambiente circostante.
Il mercato ortofrutticolo si svolgeva in piazza Vittorio Emanuele III, a ridosso della chiesa di S.Anna. Poi è passato sui marciapiedi di un tratto della strada statale 16 (l’odierna provinciale), via Cavalier De Luca (u strèdóne); dove tuttora si svolge nei giorni: lunedì, mercoledì, venerdì e sabato di ogni settimana. La mancanza di servizi igienici e il traffico degli autoveicoli, però, non rispondono alle norme d’igiene per questo genere di mercato.
In passato il nostro mercato era ricco di fruttivendoli a vendita diretta, verdumère: Domenico Barletta (*Zeparde), Giovanni Balice, Basilica Sanità, Pietro del Busso che con il carretto andava ad Ururi (Cb) a vendere il suo prodotto. Domenico Pracella, oltre al prodotto fresco, vendeva anche ortaggi sott’aceto e olive in salamoia preparati da lui stesso.
Fino a pochi anni fa erano presenti, Umberto Marino con la moglie, rivenditore di prodotti nazionali e gli ortolani: Alessandro Ferrero, che si dedicò con amore al suo lavoro fino ad età avanzata e Gino Siricola con i prodotti coltivati nel suo orto, in contrada S.Angelo. I meno abbienti, come l’instancabile Maria D’Alonzo, si dedicavano alla raccolta delle erbe selvatiche che vendevano di buon mattino in piazza: i cardoncelli (chèrducce), le cicorie, i tànne d’asine, la crespigna (chèscigne), i fógghjèmméscke (miscuglio di erbe selvatiche), gli asparagi (sparne), l’origano (puléne).
Negli anni ‘20 Angela Zampino (*Sciósce), con licenza del 6 giugno 1927, aprì un negozio di frutta e verdura e altri generi in Corso Garibaldi. Il 13 aprile 1944 le subentrò la nipote Grazia Gabriele (*Grèziucce a Cencióne), rivenditrice di prodotti locali al n.81 di Corso Garibaldi. Qui al tramonto arrivavano i nostri contadini con gli asinelli carichi di frutta e verdura per rifornire il negozio. Fra i tanti ricordiamo l’ortolano Umberto Arranga e il simpatico Antonio Orlando. Quest’ultimo in groppa al suo asinello, arrivava a Lesina a vendere la sua frutta. Molto richiesta era a nzèlètèlle, una lattughina, saporita, dalle foglie piccole e strette, oggi scomparsa.
In seguito nel centro storico (ndà Tèrre) sorsero i negozietti di generi diversi, dove predominava frutta e verdura, di Carolina Bucci (*Chèrline), in via S.Antonio Abate n.4, di Maria Vincenza De Virgilio in via S.Anna n.27, delle sorelle Enrichetta e Teresina Arranga in piazza V.Emanuele III n.6. Il grossista di cereali Luigi Iacicco (licenza 12/2/1957) commerciava le mele-cotogne al n. 13 di Porta Bianchini. Il prodotto acquistato dai contadini e rivenduto a grossisti (cumprèture) forestieri era destinato ad industrie di confetture per ottenere la cotognata; a chetugnète che le nostre nonne preparavano in casa stagionalmente oltre a tante altre marmellate.
Attualmente il mercato in via Cavalier De Luca si è molto ridotto. Ci sono i banchi di Bonifacio Costantino e Salvatore Costantino, produttori agricoli di Torremaggiore da svariati anni; dei fratelli Amerigo e Tarquinio Volgarino di San Paolo Civitate, quest’ultimo ambulante itinerante; della serrana Liliana Goffredo, subentrata al padre Rinaldo; di un gruppo di ambulanti stagionali serrani, i fratelli Antonio e Fortunato De Siro, Casimiro Argentino, i fratelli Raffaele e Fortunato Lombardi, Martino Lombardi, Ciro Castelnuovo e Anna Maria Altieri. Questi continuano la tradizione degli antichi ricercatori di prodotti autoctoni, di erbe e frutti selvatici, per accontentare chi sa ancora apprezzare le residue mele chèitènèlle o na minèstre de cecoreje, de cèmmègghjechélle, di chérdune, de chérducce, de sparne.
Antonio Cannarozzi di S.Severo, ambulante itinerante, fa servizio con il camioncino solo per il paese, oltre a tanti altri che saltuariamente fanno questo tipo di lavoro.
Due sono i negozi di frutta e verdura: uno di Rosaria Capuano in via Nino Bixio n.7, abbastanza fornito di ortaggi, parecchie varietà di mele, pere (Abate, Kaiser), frutta esotica e anche di prodotti paesani. L’altro, in via Settembrini n.9, è la vendita diretta al dettaglio di pesche e altra frutta e ortaggi dei produttori agricoli Michele Maggio e il figlio Leonardo che coltivano trenta ettari di ortaggi e frutteti con la vendita del proprio prodotto anche all’ingrosso.
Si va diffondendo anche a Serracapriola la vendita di frutta e verdura nei negozi a settore alimentare e nei minimercati. Il più rappresentativo è il “Compritutto” di Antonietta Di Guglielmo, dove il reparto di frutta e verdura è abbastanza fornito.
I rivenditori si riforniscono dei prodotti nazionali ed esteri, in base alla richiesta, presso i grossisti di Termoli e di San Severo, i quali a loro volta acquistano nelle prime ore del mattino al mercato ortofrutticolo all’ingrosso di S.Benedetto del Tronto, di Foggia, Cerignola, Manfredonia.
Il consumatore deve avere la possibilità di scelta in base ai cartelli, che i rivenditori sono obbligati a mettere, indicanti la varietà, l’origine e la categoria (extra, prima o seconda) dell’ortofrutticolo. Gli agricoltori a vendita diretta sono esonerati da quest’obbligo.
Questa società, protesa a curare l’immagine esteriore, influenza anche il mercato ortofrutticolo dove i consumatori sono portati a comprare la frutta bella, grossa, ben pubblicizzata e costosa, sottovalutando il prodotto locale (spesso inesistente) brutto e a basso prezzo. Al mercato tra le varietà di frutta vediamo dominare le mele del Trentino (Golden Melinda D.O.P. Val di Non, Granny Smith Sudtirol, Cafa, Marlene), le renette, l’annurca, tranne le nostre gaetanelle ormai quasi scomparse. Non mancano i prodotti esteri come l’aglio Apollo made in China.
Va preso in considerazione soprattutto il produttore agricolo che con la vendita diretta cerca di piazzare il proprio prodotto. Per evitare i vari passaggi che fanno lievitare il prezzo del prodotto è bene costituirsi in cooperative, trasformare i prodotti in loco, rivalutando i cultivar antichi con sistemi moderni, senza trascurare il biologico, per caratterizzare il posto e di conseguenza avere anche un sano sbocco turistico.
Nella provincia di Foggia il primato per la trasformazione degli ortaggi lo detiene Cerignola. Piccoli agricoltori e molte aziende trasformano i loro prodotti, come “Le conserve alimentari di Iaculli Domenico” (lampascioni pugliesi, cipolline, carciofini, olive, pomodori secchi, melanzane, ecc.), presenti anche nei negozi di Serracapriola; paese indolente, dove ci si limita, salvo qualche eccezione, alla pura rivendita di prodotti importati.

*N.B. Nelle piccole comunità come Serracapriola i soprannomi (nomignoli) sono d’uso comune ancora oggi come nel passato (Sciósce, Cencióne, Chèrline, Chjagnémamme, Coccerusce, Scèmèddì, Pèciòmmele, Mecheluccitte, Spègnulitte, Putresine, Ènnèrèlle, Mènzèlle, Till-Tall, Pècchegnétte, Semprecène, Rèfènélle, Zeparde, ecc.). Per riconoscersi si usa, bonariamente e non per offendere (il pregiudizio dell’offesa non sussiste), il soprannome al posto del cognome che va nel dimenticatoio. È una caratteristica del posto che non si può ignorare, come nell’antica Roma dove le persone venivano nominate anche con il soprannome.