Per capire la situazione economica del Meridione e ovviamente quella di Serracapriola è necessario andare indietro nel tempo, partendo almeno dal Regno delle due Sicilie che era nato nel 1130 con l’unificazione compiuta da Ruggiero II d’Altavilla (i primi re furono I Normanni d’Altavilla). I sovrani che si susseguirono, di origini straniere, divennero dei Meridionali a tutti gli effetti, assumendone la lingua e le usanze. Durante i 730 anni di vita il regno conservò i suoi confini invariati, senza avere mire espansionistiche e questo giovò all’economia interna (rapportata ai tempi), la cui evoluzione era lenta ma sicura. La politica economica nel Regno delle due Sicilie durante il periodo borbonico (1734-1860) con capitale Napoli, residenza dei grossi proprietari terrieri di Serracapriola, fu improntata a diversificare l’economia prevalentemente agricola favorendo anche l’industria, l’artigianato e il terziario. …il popolo di Serracapriola era affezionato alla casa borbonica, e ai preti che per quella parteggiavano (A.de Luca –Serrac. pag.74). Dal 1848 al 1860 il Regno subì scossoni rivoluzionari e cospirazioni. Nel gennaio del 1848 Ferdinando II di Borbone (Re d.D.S. dal 1830 al 1859) fu obbligato a firmare la nuova Costituzione, poi andata in fumo, (in sostituzione a quella del 1820) che stabiliva due Camere, una dei Pari, nominata dal Sovrano, e l’altra dei deputati eletta dal popolo (A.de Luca Serrac.). Essa venne controfirmata dal Duca Maresca di Serracapriola, nominato Ministro Segretario di Stato degli Affari Esteri e Presidente del Consiglio dei Ministri (S.Ricci-1848 e dintorni). Del Parlamento napoletano faceva parte anche lo scienziato serrano Ferdinando de Luca (n.1783-m.1869). Oggi, il capo della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie è il Principe Ferdinando di Borbone delle Due Sicilie, Duca di Castro.
“Il sistema tributario era strutturato principalmente sul connubio tra Imposte Dirette e Imposte Indirette sui consumi; queste ultime fondate quasi esclusivamente sui Dazi. Minore importanza avevano le imposte indirette sui trasferimenti di ricchezze, quali l’imposta di registro e di bollo.
Vi era una sola banca, il “Banco delle due Sicilie”, con una sola succursale a Bari, diviso poi in “Banco di Napoli” nella parte continentale e Banco di Sicilia nell’isola. In questi istituti si aprivano conti correnti e si concedevano prestiti a mutuo o su pegni come negli antichi banchi” (da “Primati del r.di Napoli” M.Vocino)
Sistema monetario
“Il 20 aprile 1818 Ferdinando I uniformava il sistema monetario del regno delle Due Sicilie. La moneta era il Ducato(Au), presente in circolazione in coni aurei da 3,4,6,15,30. Il Ducato era suddiviso in 10 Carlini(cu/ag), che equivaleva a sua volta a 10 Grana(cu). Vi era poi il Tornese(cu) (2 tornesi equivalevano a un grano, cioè ad un centesimo di Ducato), il Cavallo(cu) (6 cavalli equivalevano ad un Tornese) e infine la Piastra(ag) (= 12 Carlini). La moneta siciliana era l’Oncia(ag/au) ( valore in Euro 48,39) che valeva 3 Ducati ed era suddivisa in 30 Tarì(cu/ag) (=300 Baiocchi-cu). Tutto il sistema monetario nel suo complesso era garantito in oro nel rapporto uno a uno, la lira piemontese invece era garantita nel rapporto tre a uno (ogni tre lire in circolazione erano garantite da una sola lira oro). Le monete erano coniate in oro (au), argento (ag) e rame (cu). Il cambio nel 1859 era 1 Ducato=4,25 lire. Un Ducato Napoletano rapportato alle vecchie lire equivale a lire 31.223,47, pari ad Euro 16,13. Il governo unitario dei Savoia con la legge del 24 agosto 1862 mise fuori corso il Ducato, triplicando in un sol colpo la massa monetaria incamerata con l’annessione del Sud.”
“Il costo della vita era basso rispetto agli altri Stati preunitari e lo si può dimostrare paragonando i salari con il costo dei generi di prima necessità: la giornata di lavoro di un contadino era pagata il corrispondente odierno di 3 euro (15-20 Grana di allora), quella degli operai generici valeva in media 5 euro che salivano a 6,50 euro per quelli specializzati (dai 20 ai 40 grana); 13 euro spettavano ai maestri d’opera (80 grana). A tali retribuzioni veniva aggiunto un soprassoldo giornaliero di 10-15 grana per il vitto. Un impiegato percepiva 15 ducati al mese, la paga di un colonnello di fanteria era di 105 ducati (1680 euro). Sul versante dei costi riportiamo che un rotolo (l’unità di peso era il cantaro o cantaio=89,10 chili, il rotolo era la centesima parte del cantaro) di pane (800 grammi) costava 6 grana (1 euro), un equivalente di maccheroni 8 grana (1,30 euro), di carne bovina 16 grana (2,5 euro), un litro di vino 3 grana (0,50 euro), tre pizze 2 grana (0,32 euro)”
Agricoltura e Allevamento
“I dati (Annuario Statistico Italiano 1864 di Maestri-Correnti) indicano che nel 1860 il Sud, che contava il 36,7% della popolazione d’Italia, pur non avendo nulla che si possa paragonare alla pianura padana, produceva il 50,4% di grano; l’80,2% di orzo e avena; il 53% di patate; il 41,5% di legumi; il 60% di olio, favorito in questo anche dal clima che consentiva spesso due raccolti all’anno; si svilupparono le coltivazioni di agrumi e di piante idonee al suolo arido: l’olivo, la vite, il fico, il ciliegio ed il mandorlo (piante-simbolo dell’agro di Serracapriola). La dieta del meridionale dell’epoca era quella tipica mediterranea, ricca di verdure, ortaggi, frutta e pesce, latte e derivati, pane e pasta. Carlo di Borbone introdusse riduzioni delle tasse per i proprietari che avessero coltivato i loro terreni ad uliveto. Fu così che in Puglia misero radici gli ulivi: oggi su 180 milioni di alberi italiani ben 50 milioni sono localizzati in Puglia, la regione olivicola più importante del mondo con il 10% della produzione totale dell’olio. Un decreto emanato il 12-12-1844 da Ferdinando II prescriveva la necessità di un certificato di origine per l’olio di oliva che era esportato in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. L’industria alimentare era legata all’ottima produzione di grano duro e vantava i migliori pastifici d’Italia, circa cento, che esportavano in molti paesi stranieri: Russia, America, Svezia, Grecia…
Per quanto riguarda l’allevamento del bestiame il Sud primeggiava per quello ovino, caprino, equino e suino. Tra gli Abruzzi e la Puglia continuava la transumanza delle greggi che si svolgeva lungo i tratturi, regolata da un codice che prevedeva il pascolo nel Tavoliere da 29 settembre all’8 maggio. In quel mese si svolgeva la grande fiera zootecnica di Foggia alla quale era tradizione partecipasse anche il re, vestito alla maniera paesana. Vivacissima era anche l’attività dei caseifici la cui lavorazione riguardava particolarmente il latte di pecora e la mozzarella di bufala. Dal primo censimento della popolazione d’Italia del 1861 (a pochi mesi dall’Unità) si ricava che il Sud, che contava 36,7% della popolazione italiana, aveva il 56,3% dei braccianti agricoli e il 55,8% degli operai agricoli specializzati. Quando nel 1887 il protezionismo chiuderà gli sbocchi esteri, l’agricoltura del sud subirà un colpo mortale. Quella non era infatti solo un’agricoltura di sussistenza e autoconsumo, bensì mercantile, destinata all’esportazione. A quel punto l’enorme massa di operai agricoli non ebbe più lavoro e non potè far altro che emigrare.”
(da “Il Sud Prima dell’Unità” di G.Ressa-A.Grasso)
Lo stato sabaudo
“L’unificazione politica dell’Italia fu attuata senza considerare le diversità, le esigenze economiche e le aspirazioni delle popolazioni che venivano aggregate. D’altronde le motivazioni politiche che avevano portato all’unità erano –come sempre accade- in subordine rispetto a quelle economiche. In questo periodo nacque la “Questione meridionale”. Tra i primi ad iniziare l’indagine storica sul problema economico del Mezzogiorno fu Francesco Nitti. Egli, in base ai suoi studi, giungeva alla paradossale conclusione che il sistema borbonico sembrava essere il più indicato per incrementare la ricchezza nel Mezzogiorno.
“Lo stato finanziario del meridione, che era ben solido nel 1860, giovò al debito pubblico dello stato piemontese procurato dalla politica bellicosa ed espansionista del Cavour (tre guerre in dieci anni!). Lo stato sabaudo si era dotato di un sistema monetario che prevedeva l’emissione di carta moneta mentre il sistema borbonico emetteva solo monete d’oro e d’argento insieme alle cosiddette “fedi di credito” e alle “polizze notate” alle quali però corrispondeva l’esatto controvalore in oro versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie….
Ci vorranno molti decenni perché l’Italia postunitaria, dal punto di vista economico, possa riconquistare una qualche credibilità……
Si dovrà aspettare il periodo fascista
(non esente da colpe come ogni dittatura) per vedere intrapresa una qualche politica di sviluppo del Meridione con un intervento strutturale sul suo territorio attraverso la costruzione di strade, scuole (gli edifici scolastici della Scuola Elementare a Serracapriola sono ancora oggi efficienti nonostante siano stati deturpati nel corso degli anni con rifacimenti non idonei alla struttura originaria), acquedotti (quello pugliese su tutti), distillerie ed opifici, la ripresa di una politica di bonifica dei fondi agricoli, il completamento di alcune linee ferroviarie come la Foggia-Capo di Leuca, -iniziata da Ferdinando II di Borbone, dimenticata dai governi sabaudi e finalmente terminata da quello fascista.
Ma il danno e i disastri erano già fatti: una vera economia nel sud non esisteva più e le sue forze più giovani e migliori erano emigrate all’estero
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Nonostante gli interventi negli anni ’50 del XX secolo con il piano Marshall, (peraltro con nuove sperequazioni tra nord e sud), ’60 e ‘70 con la Cassa per il Mezzogiorno, la Riforma Fondiaria, lo sviluppo dell’agricoltura con la “Piccola Proprietà” e il recente aiuto economico dell’Unione Europea, il divario che separa il Sud dal resto dell’Italia è ancora notevole.
Per i meridionali, stremati da anni di guerra e dal “brigantaggio” ci sarà l’emigrazione transoceanica negli ultimi decenni dell’800, che continuerà dopo il periodo fascista in alcuni paesi dell’Europa e nel nord Italia soprattutto intorno agli anni ’60 / ‘70.
Il dibattito ancora aperto e vivace sull’ipotesi di un’Italia federalista, i toni eccesi del partito della Lega Nord, una certa avversione, subdola ma reale, tra la gente del nord e quella del sud, nonostante il “rimescolamento” dovuto all’emigrazione interna, testimoniano quanto queste problematiche, nate nel 1860, siano ancora attualissime.
Oggi l’unità dello stato, in un periodo dove il progresso passa attraverso enti politico-economici sopranazionali come la Comunità Europea, è certamente un grande valore da salvaguardare. (da “Controstoria dell’Unità d’Italia” di Carlo Coppola)
Il meridione, martoriato dalla criminalità organizzata, vive ancora di assistenzialismo e di lavoro nero e continua a subire lo spopolamento dei suoi paesini. Serracapriola, conta 4.123 abitanti rispetto ai 7023 del 1911 e agli 8462 del 1951. L’economia si basa esclusivamente sui proventi dell’agricoltura, fiorente negli anni ’70, in crisi oggi per vari motivi, tra cui la mancanza di aggregazioni cooperativistiche per la trasformazione dei prodotti agricoli. L’unica cooperativa presente, però ferma all’ammasso, è la Frentana che si prodiga per risolvere nel migliore dei modi le problematiche dell’agricoltura serrana.