Le origini della tessitura si perdono nella notte dei tempi. Si può supporre però che l'uomo primitivo avesse applicato alla tessitura le varie tecniche dell'intreccio, acquisite nella fabbricazione dei cesti. Poi la nascita e l'evoluzione del telaio fecero il resto. I bassorilievi delle nostre antenate, scolpiti su alcuni pesi da telaio, affioranti anche in agro di Serracapriola, in seguito alle profonde arature, ci lasciano immaginare le prime tessitrici, intente a produrre gli originali tessuti. Questi reperti di terracotta, databili forse al III secolo a.C., erano i pesi di un particolare telaio per la lavorazione della lana, ampiamente attestato in ambiente greco. Anche se di uso più lento, il telaio a pesi, in rapporto a quello orizzontale e a quello verticale a due assi, già diffusi in Egitto, permetteva di ottenere tessuti di trama più complessa, talora con fili a più colori, con una tecnica simile a quella dell'arazzo.
 Nel corso dei secoli la nostra terra, popolata di contadini e di pastori, era ricca di materia prima, la pregevole lana delle pecore Sopravissane, a lène de pèquere, e di manodopera qualificata tutta femminile. Nel 1854 Serracapriola contava 50 tessitrici. Il telaio era presente quasi in ogni casa. Utensile indispensabile all'economia rurale, dove tutto il nucleo familiare concorreva alla produzione del magro reddito, che praticamente coincideva con il consumo. La tessitura era un'attività nobile, perché creativa e necessaria per la donna che doveva prepararsi il corredo. Materiale sacro, che le dava onore e virtù, in rapporto alla raffinatezza e alla quantità dei capi. Ma più che consumare bisognava conservare, per cui molti tessuti insieme con la memoria orale sono stati ereditati dalle figlie delle produttrici. Si narra di una donna che, mentre tesseva nella sua abitazione, sentì venire dall'aspo ballerino una voce insistente - isce...isce! -. Quando uscì, la casa crollò per una forte scossa di terremoto.
 Il telaio a mano usato nei primi anni del 900 dalle varie tessitrici, alcune riconosciute dal nomignolo: a Mèsemiène, a Nèticchje ecc., era quello comune ai paesi limitrofi. Si preparava l'ordito con il filato di cotone misto a canapa, più raramente di lino; dopo averlo inserito nel telaio, si predisponeva il tutto e s'iniziava a tessere. Tutto il corpo della tessitrice era impegnato nel lavoro. Il busto si piegava in avanti, i piedi pigiavano i pedali che decidevano gl'intrecci, il braccio destro spingeva il pettine avanti e indietro, mentre il sinistro correva da una parte all'altra per infilare la navetta tra i fili. Tiss e tiss cà tele ce fenisce. E la tela, man mano che si allungava, si arrotolava intorno ad un rullo sottostante al telaio. Venivano prodotti così rotoli, rocele, di tela di lino per i benestanti e di cotone per i non abbienti. Le mamme delle future spose, dopo aver lavato le tele, le lasciavano sbiancare al sole. Nel riavvolgerle vi depositavano del danaro. I rotoli-salvadanai, con un valore in più, venivano conservati nel baule del corredo. Alla fine del secondo conflitto mondiale, nonostante la forte richiesta di tessuti e biancheria, questa plurisecolare attività domestica si estinse, quando gli alleati demolirono l'ultimo telaio di legno alla presenza della tessitrice in lacrime.
 Per la confezione di manufatti ad uso familiare il metodo più semplice era quello effettuato manualmente con i ferri. Si confezionavano le calze, le maglie, gli scialli di lana. Riciclando poi la lana di altre maglie e indumenti in disuso, le donne anziane realizzavano con l'uncinetto coperte e tappeti multicolori. Negli anni 60 le magliaie continuavano a livello familiare a confezionare maglie con la tessitura e confezione a mano.Il lavoro, anche se molto faticoso, non mancava. Iolanda ed Emola Potente, Evelina Sicuranza, Dorina Giacci, la famiglia Petruzzelli, Arnalda Maria Giacci con le figlie Anna e Lucia di Vito e tante altre, producevano capi di alta classe che denotavano una lunga esperienza artigiana. Dopo si verificò un progressivo decadere di questa attività, dovuto ad una rapida diffusione sul mercato di confezioni e tessuti prodotti industrialmente. Ma tutto questo va ricollegato ad un discorso più ampio sulla crisi dell'artigianato in genere, causata dalla mancanza di incentivazioni per le piccole attività. Le sorelle di Vito furono le uniche a perseverare, creando due laboratori con dipendenti.
 Oggi è restata soltanto l'attività artigiana di di Vito Anna Maria. II laboratorio nacque nel 1972 con macchine per tessitura e confezione. Dopo poco tempo l'evoluzione tecnologica portò alla soppressione della smacchinatura, lasciando la confezione. L'azienda, collegata all'industria che le fomisce il tessuto, produce capi di maglieria esterna in lana e cotone. A detta della titolare, la manodopera, che potrebbe essere di venti unità, è carente, anche perché il mestiere richiede un lungo periodo di apprendistato. Inoltre necessita la modemizzazione del parco-macchine. L'attività, dalla nascita fino ad oggi, non ha avuto sovvenzioni da nessun organo istituzionale, va avanti con difficoltà, con le proprie forze , sentendosi ignorata.