Chiamata dapprima "Strada Coatta" (1685), poi "Strada Vallone", questa via oggi è intestata a Benedetto Cairoli (1825 - 1889), combattente garibaldino ed uomo di governo del "Regno d'Italia" che donò la sua amicizia al medico e sindaco di Serracapriola Giulio Castelnuovo.
Diritta, ariosa, lievemente mossa, riordinata di recente con pietra "spicconata" di Apricena, la via nasce dallo Stradone Ferdinando de Luca, attualmente centro di un vivace mercato ortofrutticolo e sbocca al Giro Esterno, dopo aver tagliato l'ampliamento cinquecentesco di Serracapriola ringiovanito dopo l'impietoso sisma che nell'anno 1627 (luglio - agosto) ferì gravemente ogni luogo del paese.
Con la complicità delle viuzze adiacenti, il percorso viario permette al visitatore di scoprire angoli caratteristici del paese: archi ed archetti, "chiènétte", edicole votive, scale a cordonata. La densità abitativa della via è segnata da un'emigrazione robusta; molte abitazioni sono inabitate per cui, chi la percorre, non fa fatica a trovare in essa ampi spazi di silenzio e tranquillità.
Nei suo grembo via Cairoli accoglie la residenza turrita usata in Serracapriola dai "Canonici Lateranensi" di Tremiti (1676 - 1780 circa), la sobria casa che abitò Alfredo de Luca ed il palazzo dei Baroni - Conti Pettulli - Finizio, un elegante gorgheggio scenografico del secolo 18° che, sul lato orientale, è cinto da un impasto di verde sempreverde.
Laccesso Nord della via (lato "Stradone") era difeso dalla "Cavùta, o porta diruta di Ricci", di origine antica che, non è più da secoli. Nel tratto finale il percorso è marcato da uno scosceso mediato da una scalinata (restaurata nell'ano 2003) che la raccorda, senza traumi, al Giro Esterno.
Al numero 9 di Strada Coatta (anche Covatta), visse da scapolo ed il 13 dicembre 1890 vi morì, Luigi Finizio, figlio di Domenico e di Eugenia Magnacca. Oltre alla professione medica, nei 70 anni che campò, egli si dedicò anche all'Amministrazione municipale di Serracapriola che governò dal 1870 al 1872 con l'ausilio degli assessori Filippo Ricci (m. 1872), assessore anziano, Luigi Centuori, Giulio Castelnuovo e Francescantonio de Luca.
Nella stessa strada abitarono, fra gli altri: il sacerdote Michelarcangelo Danza che nel 1878 spirò al civico 10, Eliseo Mascolo (cl. 1948), figlio di Michele ed Irma Cariota, dottore in lettere in quel di Armeno, comune collinare del novarese ove, da due lustri, siede stimato sindaco. Al civico 18 nacque e sbocciò la gioventù di Serafino Fortunato Mercurio (cl. 1895), soldato della prima Guerra Mondiale (22 Rgt. Ftr.), morto prigioniero a Somoda (Ungheria) l8 marzo 1918.
Questo palazzo, abbattuto dal terremoto del 1627, venne innalzato <<afudamentis>> dal proprietario <<doctorphisico Ioseph Destictis>> nell'anno 1632. Nella circostanza, per dare maggior contrasto all'edificato, egli vi <<aggiunse anche quella camera che è cavaliere sulla via>>.
La serrana Mariuccia Ruggiero, di Antonio e di Carmina de Luca, in questa struttura che apparteneva al suo casato, nel 1813 fondò e diresse un Convitto femminile.
Anna M. Saracino, M. Raffaela Viola, Cristina Bassi, Catarina Moritto, di Ururi la prima, di Portocannone le altre tre e le <<donzelle>> serrane Maria Concetta Pergola, Carolina Ricci, Carmina de Lionardis, Carmela c Rosa de Luca, M. Ferreri, Carmela Ruggiero e M. Vincenza Tartaglia furono qui "ritirate", istruite e educate <<gratis>>. Il Convitto, che la <<gentildonna>> Ruggiero istituì <<col lascito del fu marito>> Diego Pergola (m. 10 luglio 1811), uomo di legge, andò avanti nella struttura abitativa di <<Strada Covatta>> fino al 1816; lo stesso venne poi trasferito al <<Piano Sant'Angelo>> nei locali più spaziosi e confortevoli del soppresso Convento dei Padri Riformati. (33 vani superiori, 10 inferiori, con cucina, stalletta, pagliera, cantina e giardino).
Il trasferimento del Convitto nella nuova struttura che fu concessa alla Ruggiero con <<sovrana risoluzione>>, riconsegnò la Casa di strada Covatta, 22 al suo naturale ruolo di privata abitazione. Nei primo Brigantaggio postunitario la casa era data in fitto al canonico Giuseppe Santelia. Il proprietario dell'immobile, il serrano Francescantonio de Luca, insieme con la moglie Maria Vincenza, serrana anch'ella, dimorava in Napoli. Nella città partenopea, dopo avervi conseguito la Laurea in Giurisprudenza (1845), il de Luca esercitava l'arte forense (1845 - 1865) ed insegnava "Filosofia del Diritto" in quell'Università (1863).
Presso il can. Santelia, mentre il fenomeno brigantesco martoriava le nostre contrade, trovò ospitalità ed alloggio il tenente Calcamucci: apparteneva costui alla girandola di militari che erano stati inviati dal Governo di Torino per por fine al Brigantaggio nel Sud della penisola.
In zona Tronco, nel tempo che la truppa regolare italiana andava a caccia di prede umane, due suoi ufficiali, il ten. Calcamucci ed il ten. Manfredi, napoletano il primo, di estrazione piemontese il secondo, vennero a <<grave disputa>> fra di loro. S'ignora il quantième e s'ignora anche il perché della loro baruffa. Le cronache non lo dicono. Fra le possibili cause che scatenarono l'alterco si possono ipotizzare motivi campanilistici: tutto lo lascia supporre. Gli uomini del Nord, i piemontesi, inviati nel Mezzogiorno a combattere una guerra senza fronte, nutrivano qualche pregiudizio di troppo sui Meridionali, sia civili, sia militari. Anziché Fratelli d'Italia,i piemontesi <<si credevano conquistatori>> del Sud. Di conseguenza trattavano con alterigia gli ufficiali ed i soldati delle province dell'ex Regno borbonico; non sempre <<vi era affiatamento>> fra gli stessi ufficiali, n6 fra gli stessi soldati di truppa. Più che di commilitoni l'esercito sembrava fatto di soldati rivali, inconciliabili antagonisti.
In difesa dell'onorabilità dei due militari, ferita dal litigio di Tronco, parlarono le loro sciabole che, di <<buon mattino>>, nel giorno stabilito, snudate e minacciose s'incrociarono <<nello spiazzale che è dinanzi alla Chiesa dei cappuccini>>. Fra i duellanti la meglio toccò all'ufficiale napoletano che <<ferì lavversario>> Manfredi.
La vittoria di Calcamucci diede la stura all'entusiasmo dei commilitoni conterranei. E quando egli, reduce dalla vittoria, dal convento tornò in paese e varcò la soglia del suo alloggio presso il canonico, lampio portone di accesso allo stabile <<si riempì di soldati napoletani acclamanti il vincitore>>. Soltanto <<a stenti>> il ten. Manfredi riuscì ad imporre morso e briglie ai suoi scongiurando in tal maniera una pesante <<dimostrazione>> contro i soldati dell'Italia Settentrionale.
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