Serracapriola on line

  Gli stagnini (dal n.3 anno VI de "La Portella")

a cura di Giuseppe Gentile    

 

Allo stagnino o stagnaio, stégnére, parente povero del ramaio, la gente ricorreva per farsi stagnare le pentole di rame. Ma questo artigiano dello stagno e dello zinco costruiva soprattutto oggetti tanto utili quanto indispensabili alla vita quotidiana dei contadini meno abbienti.
 Giorgio Fiorentino, con il figlio Giosafatto (bandista pro tempore; + 1966) lavorava in Vico Boccaccio e trovò il tempo di impegnarsi anche in politica, in seguito alla consultazione elettorale del 1920, come assessore nella giunta comunale capeggiata dal sindaco Attilio Centuori. Giovanni Mauceri e il figlio Ernesto avevano bottega in via Dante Alighieri.
 Negli anni '50 uno stagnino di San Sevcro, Mést'Cicc, si stabilì in un terraneo affumicato di piazza Umberto I. D'estate lavorava con la porta sempre spalancata per far entrare luce ed aria a sufficienza. A volte, all'aperto, e noi ragazzini non ci lasciavamo scappare l'insolito spettacolo, stavamo intorno e incantati osservavamo le grosse mani annerite, sempre alle prese con le padelle da riparare. A lavoro ultimato lo stagnino le riconsegnava alle donne, che, per tirare il prezzo, gli facevano notare furbescamente la mal riuscita della riparazione. Cedendo da ambo le parti si arrivava poi all'accordo che lasciava i contendenti convinti di aver avuto il proprio totnaconto. Finalmente il nostro artigiano poteva rifocillarsi. Come per magia, faceva comparire, chissà da dove, mezza pagnotta rafferma e un pezzo di salsiccia in un cartoccio di vecchia carta oleata. Lavate le mani in un bidoncino di sua produzione, stégnere, sbocconcellava il suo pasto molto adagio, forse per la mancanza dei denti, forse per farlo durare.
 Quando riprendeva il lavoro egli operava con le cesoie per tagliare lo stagno, con il martello per batterlo sulla bicornia, e con il saldatoio riscaldato per far fondere la barretta di stagno a forma di grissino. Per ottenere queste barrette lunghe circa 40 centimetri fondeva un pane di stagno che aveva una percentuale di piomho, che variava in base all'uso, in una tazza di ferro con un manico e un beccuccio, sopra i carboni della forgia. Versava poi questa lega in uno stampo rettangolare di pietra che aveva delle scanalature, e la lasciava raffreddare. Per saldare impugnava il saldatoio con la punta in rame caldissima e con l'altra mano teneva la barretta facendoli combaciare. La barretta fondeva e colava sui pezzi da saldare. Poi rifiniva il lavoro lisciando lo stagno. Materiale povero per i poveri. Venivano fuori così imbuti di tutte le dimensioni, mute e mutill, grattuge. ròttéchèsce, oliere, ugghjèrule, decalitri, chènnéte, annaffiatoi, lucerne ad olio, tegami e tanti altri utensili da cucina.
 Erano oggetti usati dai contadini più poveri che li facevano riparare flnché era possibile. E raramente si trovava qualche utensile di latta ("l'usa e getta" di una volta) nel rudimentale bidoncino dell'immondizia, a stègnère da mùnnézz, che si lasciava davanti casa, inattesa del carretto della nettezza urbana, per essere poi restituito vuoto, poiché doveva continuare ad essere usato ancora per tanto tempo.
 Il lattoniere poi, aiutato dalla bordatrice, primo mezzo meccanico manuale, realizzava lanterne, candelieri, bugie, e bidoni per l'olio di varie dinlensioni, anche senza saldature. Con lo zinco, secchi, tràgne, grondaie, canali, e le artistiche banderuole.
 Infine dava il suo ultimo contributo alla società, quando, in casi di decessi, veniva chiamato per chiudere, saldandole, le casse di zinco da lui stesso realizzate.
 Con l'invenzione del laminatoio nacque l'industria della latta. La diffusione di questa macchina e l'industria della plastica, che sforna utensili da cucina e canali di questo materiale, portarono alla scomparsa di alcuni stagnini.
 A Serracapriola questo artigiano dello stagno è scomparso da parecchio tempo. A San Paolo di Civitate, invece, l'ultimo stagnino continua la sua opera, ancora necessaria per la produzione sempre attuale delle lattine a perdere per il trasporto dell'olio d'oliva, per il restauro delle vecchie case, dove necessitano le grondaie, i canali di zinco o di rame e per foderare le casse funebri. Questa figura rimarrà un puro ricordo nella nostra realtà, dove anche i mestieri più nuovi, legati all'industria e che altrove prosperano, non vengono neppure concepiti. Paura o indolenza?