Gli stagnini (dal n.3 anno VI de "La Portella")
Allo stagnino o stagnaio, stégnére, parente
povero del ramaio, la gente ricorreva per farsi stagnare le pentole di rame.
Ma questo artigiano dello stagno e dello zinco costruiva soprattutto oggetti
tanto utili quanto indispensabili alla vita quotidiana dei contadini meno
abbienti.
Giorgio Fiorentino, con il figlio Giosafatto (bandista
pro tempore; + 1966) lavorava in Vico Boccaccio e trovò il tempo
di impegnarsi anche in politica, in seguito alla consultazione
elettorale del 1920, come assessore nella giunta comunale capeggiata dal
sindaco Attilio Centuori. Giovanni Mauceri e il figlio Ernesto
avevano bottega in via Dante Alighieri.
Negli anni '50 uno stagnino di San Sevcro, Mést'Cicc,
si stabilì in un terraneo affumicato di piazza Umberto I. D'estate
lavorava con la porta sempre spalancata per far entrare luce ed aria a sufficienza.
A volte, all'aperto, e noi ragazzini non ci lasciavamo scappare l'insolito
spettacolo, stavamo intorno e incantati osservavamo le grosse mani annerite,
sempre alle prese con le padelle da riparare. A lavoro ultimato lo stagnino
le riconsegnava alle donne, che, per tirare il prezzo, gli facevano notare
furbescamente la mal riuscita della riparazione. Cedendo da ambo le parti
si arrivava poi all'accordo che lasciava i contendenti convinti di aver
avuto il proprio totnaconto. Finalmente il nostro artigiano poteva rifocillarsi.
Come per magia, faceva comparire, chissà da dove, mezza pagnotta
rafferma e un pezzo di salsiccia in un cartoccio di vecchia carta oleata.
Lavate le mani in un bidoncino di sua produzione, stégnere,
sbocconcellava il suo pasto molto adagio, forse per la mancanza dei denti,
forse per farlo durare.
Quando riprendeva il lavoro egli operava con le cesoie per tagliare lo
stagno, con il martello per batterlo sulla bicornia, e con il saldatoio
riscaldato per far fondere la barretta di stagno a forma di grissino. Per
ottenere queste barrette lunghe circa 40 centimetri fondeva un pane di stagno
che aveva una percentuale di piomho, che variava in base all'uso, in una
tazza di ferro con un manico e un beccuccio, sopra i carboni della forgia.
Versava poi questa lega in uno stampo rettangolare di pietra che aveva
delle scanalature, e la lasciava raffreddare. Per saldare impugnava il saldatoio
con la punta in rame caldissima e con l'altra mano teneva la barretta facendoli
combaciare. La barretta fondeva e colava sui pezzi da saldare. Poi rifiniva
il lavoro lisciando lo stagno. Materiale povero per i poveri. Venivano fuori
così imbuti di tutte le dimensioni, mute e mutill,
grattuge. ròttéchèsce, oliere, ugghjèrule,
decalitri, chènnéte, annaffiatoi, lucerne ad
olio, tegami e tanti altri utensili da cucina.
Erano oggetti usati dai contadini più poveri che li facevano riparare
flnché era possibile. E raramente si trovava qualche utensile di
latta ("l'usa e getta" di una volta) nel rudimentale bidoncino
dell'immondizia, a stègnère da mùnnézz,
che si lasciava davanti casa, inattesa del carretto della nettezza urbana,
per essere poi restituito vuoto, poiché doveva continuare ad essere
usato ancora per tanto tempo.
Il lattoniere poi, aiutato dalla bordatrice, primo mezzo meccanico manuale,
realizzava lanterne, candelieri, bugie, e bidoni per l'olio di varie dinlensioni,
anche senza saldature. Con lo zinco, secchi, tràgne,
grondaie, canali, e le artistiche banderuole.
Infine dava il suo ultimo contributo alla società, quando, in
casi di decessi, veniva chiamato per chiudere, saldandole, le casse di zinco
da lui stesso realizzate.
Con l'invenzione del laminatoio nacque l'industria della latta. La diffusione
di questa macchina e l'industria della plastica, che sforna utensili da
cucina e canali di questo materiale, portarono alla scomparsa di alcuni
stagnini.
A Serracapriola questo artigiano dello stagno è scomparso da parecchio
tempo. A San Paolo di Civitate, invece, l'ultimo stagnino continua la sua
opera, ancora necessaria per la produzione sempre attuale delle lattine
a perdere per il trasporto dell'olio d'oliva, per il restauro delle vecchie
case, dove necessitano le grondaie, i canali di zinco o di rame e per foderare
le casse funebri. Questa figura rimarrà un puro ricordo nella nostra
realtà, dove anche i mestieri più nuovi, legati all'industria
e che altrove prosperano, non vengono neppure concepiti. Paura o indolenza?
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