l'architettura urbana
(da n.1 anno III, n.2 anno III e n.3 anno IIIde "La Portella")
- Origini;
- Dint'àTèrre;
- I fabbricatori;
- Fòr'è Pòrte;
- Le manomissioni;
- La deformazione;
- Il restauro;
- E allora quale restauro?;
Soltanto da qualche anno si comincia a dare significato alla
parola RESTAURO per ripristinare ("restituire allo stato primitivo"
dice il dizionario) l'antico abitato, i monumenti, le opere d'arte di Serracapriola.
Origini
...Oltre l'ipotetica esistenza di una "Rocca Frentana"...
quanto diffuse fossero le strutture di età romana intorno a Serracaprioola
lo possiamo rilevare tuttora dai toponimi della campagna serrana... in cui
il termine "grotta"... di alcune contrade indica la persistenza
nel sito di scantinati, di ville o fabbricati rustici romani... che sono
stati ormai distrutti. Dai rilievi effettuati è ipotizzabile... che
una piccola comunità si sia insediata in quella zona che va dal Castello
alIa Chiesa di San Mercurio. Un sostegno indiretto di questa tesi può
essere ricavato dall'analisi del sistema viario... attraverso la "greppia
di Petronio"...
Lo stesso nome Serracapriola potrebbe riferirsi al nome di una famiglia...
in epoca romana, il cognomen "Capriola" (A. Gravina).
Dint'àTèrre
...Con il terremoto del 1626/27 in paese "non restò forma
completa de habitazione, né pietra sopra pietra... Del castello soltanto
la torre ottagonale tutta fabbricata a mattoni di taglio non fu toccata
in minima parte... Sui colli irti di macerie, iniziò ben presto a
nascere la nuova Serracapriola. Il suo primo simbolo monumentale fu Santa
Maria in Sylvis. La costruzione fu ultimata nel 1630..." (S.Ricci).
I fabbricatori
Sui resti murari fatti per lo più di pietrame cominciarono
a sorgere le nuove case. La tecnica costruttiva era "a sacco".
Il materiale più comunemente usato era il mattone misto al pietrame
nelle costruzioni più antiche e la malta fatta con impasto di terriccio,
paglia e calce. I muri erano costruiti a casse-forme sovrapposte. Ogni struttura
composta da pietre e malta era delimitata da mattoni. Soltanto quando "il
sacco" era ben asciutto "u frèbbechètore"
poteva proseguire il lavoro. Erano tempi senza problemi di tempo. I muri
perimetrali delle abitazioni, di oltre un metro di spessore ottenuti con
la stessa tecnica del muro a secco con l'aggiunta di malta, erano, nelle
case più antiche, muri di sostegno per le volte a botte che iniziavano
l'arco a 150 centimetri dal suolo. In alcuni casi la volta poggiava su due
o quattro archi che si sviluppavano lungo le pareti valorizzati in altezza.
Con la diffusione delle fornaci ci fu il trionfo del mattone nel nostro
tessuto urbano. Per farsi la casa i contadini andavano dai mattonai a barattare
la paglia con i mattoni. La bravura del muratore era determinante non solo
per la stabilità della costruzione, ma anche per l'eleganza delle
forme, specie delle volte e degli archi ottenuti con una tecnica originale,
tramandata di generazione in generazione. Dopo aver costruito i muri perimetrali
ed aver innalzato, su quelli frontali, due semiarchi, il Capomastro centinava
la volta, che era quasi sempre a botte. I "sbregliòzze"
legati a gesso formavano volte a crociera. Il tetto (a cupertine)
era costituito da travature in legno poste parallele fra loro e alla distanza
di un metro. Tra una trave e l'altra si allineavano ogni venti centimetri
in senso trasversale delle traversine di cerro, su cui si poggiavano i mattoni
Santa Croce (pienèlle). Infine il tetto, ormai chiuso,
veniva definitivamente coperto di coppi (pince).
Per utilizzare al massimo lo spazio, nelle pareti venivano ricavate delle
nicchie. Fra queste non doveva mancare "a vutèrelle",
che costituiva l'altarino di famiglia, ricco di statuine e immagini sacre.
Il camino (chèntone), simbolo del focolare domestico,
era l'indispensabile mezzo di riscaldamento della casa. Poteva impegnare
un'intera stanza di circa nove metri quadrati, la cui volta era costituita
dalla ciminiera (ciummenére) che man mano si restringeva
verso l'alto fino all'apertura del comignolo (casa di Giorgio Castriota,
1876). In genere i camini erano di due tipi: alla monacale e alla campagnola.
L'intonaco interno ed esterno della casa era ottenuto con un impasto di
terra e calce su cui si passavano infine più mani di calce. Nei bassi,
stalle e case povere, specie le volte non venivano intonacate ma soltanto
imbiancate a calce; per cui col tempo gli strati sovrapposti di calce lasciavano
intravedere le forme dei mattoni, protetti da questo candore ovattato di
semplicità verginale. Per fare i cornicioni o le chiavi degli archi
centinati sui piedritti dei portali delle case il muratore sagomava, prima
con la martellina, poi rifiniva con la raspa e la lima mattoni di mezza
cottura inseriti in modanature di legno.
Un lauto banchetto (chèpechènèle),
offerto dal padrone di casa ai muratori, coronava la fine dei lavori.
I capimastri ci lasciarono la loro testimonianza di bravissimi artigiani
nell'antico centro urbano (Dint'à Tèrre) che
si espanse verso est fino al palazzo settecentesco dei Duchi Sanfelice.
Continuano a sfidare i secoli: qualche casa padronale (pèlazze);
poche case di un piano (mmonte), alcune con scale e pianerottoli
esterni (vegnèle); tanti bassi angusti (bbàsce)
dove si dormiva in promiscuità e si mangiava in un unico piatto,
mentre dietro al divisorio di legno (tèvelète)
il raglio dell'asinello ricordava al contadino il prossimo duro lavoro.
Case addossate l'una all'altra in un unico abbraccio di solidarietà
con il vicinato. La villa è un'isola autosufficiente.
Fòr'è Pòrte
Fuori dalla Portella il paese si estese verso nord. Il Borgo cominciò
a popolarsi di palazzotti ottocenteschi dalle volte a crociera, costruiti
con la tecnica a sacco "a nguscèture" in
uso fino al 1930. Si sviluppò un'ampia e diritta rete stradale delimitata
da stabili costruiti di soli mattoni pieni, cellule in contrastate del nostro
tessuto urbano. Il novecento lasciò la sua impronta sull'imponente
palazzo Pepe, primo esempio di complesso condominiale, e nei due edifici
scolastici, ultimi isolati di Corso Garibaldi. Ma la corsa titanica del
nostro secolo verso il cielo da noi è stata arrestata dal Piano Particolareggiato
del centro storico del 1974 e, definitivamente, dalla legge antisismica
del marzo 1981.
L'esodo della maggior parte dei serrani verso le anonime case popolari
e verso i lussuosi palazzi in cemento armato ha svuotato il centro storico
con buona parte delle traverse di corso Garihaldi.
Le manomissioni
Gli ibridismi, le manomissioni, gli abbattimenti di cose considerate
come il simbolo pietrificato della nostra arretratezza, vi sono sempre stati.
Dal fossato colmato che recingeva il lato orientale del caslello, all'abbattimento
della Porlella nel 1905 "...sia perché minacciava rovina
con l'orologio sovrastante e sia perché pareva uno sconcio quell'arco
isolato che non aveva alcun pregio né storico. né artistico...(A.deLuca)".
Ma ogni complesso urbanistico, dalla catapecchia al monumento artistico,
rappresenta un'epoca storica in un tutto armonico. In genere si valorizza
la monumenlalità ignorando la caratteristica genuinità della
comune abitazione. Ed è come fare la storia occupandosi solo di battaglie
e dei matrimoni dei re.
L'uso indiscriminato di nuovi materiali edili (cemento. rivestimenti
plastici,"graffiato" anticorodal ecc.), adatti per le nuove costruzioni,
ha deturpato il centro storico. Negli anni trenta dei muratori mentre smantellavano
le mattonelle di maiolica dalla cupola della chiesa di San Mercurio, per
poterla intonacare, si dice che abbiano esclamato : "Mò
stè u cemènte, quìst ne sèrvene cchiù!"
Altre manomissioni sono state fatte ad edifici pubblici e privati, a oggetti
di culto di ragguanlevole pregio. I muri delle vecchie case di oltre un
metro di spessore possono continuare a vivere, traspirando ancora a lungo,
con i propri mattoni a faccia vista, senza essere violentati da inutili
rivestirnenti plastici dai co!ori pacchiani.
La frenesia del nuovo, del lucido, del liscio. ha contagiato tutti, specie
coloro che soffrivano la fame nei fatiscenti bassi dove il mattone, la calce,
il legno, il ferro, rappresentanti del passato, vengono rifiutali a vantaggio
dei nuovi materiali, simboli del benessere liberatorio.
Oltre agli atti di vandalismo perpretrati ai danni delle massicce
panchine di pietra, alla scomparsa delle fontane comunali, sono stati barattati
interi portali di pietra completi di porte in legno massello con ingressi
di alluminio anodizzato (...ène chègnète l'occhje
pà còde...).
Ha coronato il cattivo gusto, nel centro storico l'installazione di ibridi
lampioni moderni e in corso Garibaldi l'abbattimento dell'illuminazione,
riprislinata poi, dall'Amministrazione Mascolo. In pochi anni Serracapriola
ha fatto da vetrina a ben cinque modelli di lampioni stradali, fari esclusi.
E un bel primato che fa onore alla dissipazione.
La deformazione
Il pregio della noslra architettura tradizionale (come dice Eglo Benincasa)
sta nella modulazione delle linee che anima i volumi. Questa deformazione
può sembrare un difetto nella disposizione delle vie, delle piazzette,
delle scalinate esterne, "vegnèle", dei muri
di "sbregliòzze", dei tetti di "pince",
ma questo apparente disordine crea la regolarità e l'armonia dell'ordine;
il ritmo poetico dei pieni e dei vuoti dove ogni via, ogni casa ha una
sua personalità.
La deformazione non si può progettare in anticipo. Bisogna toccare
il materiale e fare la scelta volta per volta, mettendo in risalto le particolari
virtù di queste pietre e mattoni per le case e delle basole per le
strade, sfruttandone i difetti e le imperfezioni. Bastava osservare, nel
giugno 1990, i basolai napoletani che restauravano la basolatura di via
XX settembre per rendersi conlo di questa verità. E sempre il limite
che è fecondo, trovarsi a dover utilizzare il materiale che si ha
a disposizione sul posto. Anche un muro sbrecciato ci dà una deformazione,
ma di origine naturale che crea un'armonia d'insieme. Le usure che rendono
belle ed eterne le vecchie case sulle superfici molto lisce degli edifici
moderni spiccano nette e stridenti. La vera linea delle cose ha un'anima
palpitante di curve infinitamente complesse. Perfino il mattone fatto a
mano, di per sé deformato, si sapeva disporre in semplici e vibranti
linee di deformazione. 0ggi la deformazione genuina la si trova ancora in
pittura non più in architettura.
"...Le vecchie case dalla fisionomia pacata, in tono minore,
di cose fatte per durare indefinitivamente. Non frenesia e vertigine, e
stanchezza successiva, ma gaiezza riposata. Basta rifarsi alle chiese romaniche
per capire la regalità della casa. Un canone umile e francescano.
Il canone mediterraneo. La ricercatezza, la raffinatezza,la distinzione
sono un veleno per l'Arte. Perde la sua fresca innocenza se aderisce alla
perizia tecnica, a una moda, o al lusso delle dimensioni e dei materiali.
La POVERTÀ È CAUSA DI BRUTTEZZA SOLO IN QUANTO UNO SE NE VERGOGNI
Ci sono delle brutte reggie e dei bellissimi trulli, delle stupende capanne
di canne. La bellezza non costa più della bruttezza. Anzi di solito
si spendono più quattrini per la bruttezza che per la bellezza. San
Francesco ha rivalutato e laudato la pietra, la terracotta, l'intonaco,
dove si riteneva appropriato solo il marmo, ha sostituito l'umile affresco
al regale mosaico e la terracotta smaltata al lusso degli ori. Oggi bisogna
riconoscere i limiti inevitabili ma benedetti della realtà. Senza
di essi siamo preda della DISSIPAZIONE. Non QUANTO PIÙ' TANTO
MEGLIO, ma QUANTO MENO TANTO MEGLIO che è il fondamento ascetico
di ogni vera civiltà..."(Pensieri di Eglo Benincasa).
Il restauro
Da qualche tempo sicomincia a sentire la poesia intensa di restaurare
le vecchie case.E' bene riscoprire e custodire gelosamente questo patrimonio
inestimabile, testimonianza di un'architettura ancora a misura d'uomo. Il
suo recupero però è reso difficile dalla cattiva applicazione
delle leggi per la tutela del paesaggio. I piani particolareggiati delle
zone d'interesse storico dell'architetto Sara Rossi approvati nel 1977 regolarizzarono,
in parte solo teoricamente, gli interventi sulle vecchie costruzioni. Essi
sono suddivisi in due zone , comprendenti:
- A1 CENTRO STORICO nella parte di più antica origine.
- A2 CORSO GARIBALDI e aree adiacenti.
Nella zona A1 non è ammesso nessun ampliamento dei fabbricati
esistenti, ma solo manutenzione straordinaria e conservativa. Questi stessi
vincoli sono validi anche per gli stabili prospicienti sul Corso Garibaldi.
Le finiture esterne degli edifici debbono rispettare con il massimo rigore
possibile le caratteristiche ambientali delle aree storiche circostanti.
Dove ci sono delle murature di mattoni pieni ci deve essere il rinvenimento
a faccia vista, altrimenti saranno ad intonaco rustico o ad intonaco
tinteggiato. I colori ammessi sono: il bruno spento, il bianco, il grigio
chiaro, il terra diSiena chiaro. Qui si cade nell'equivoco. Per
cui ognuno crede di essere nel diritto di dare libero sfogo al capriccio
di intonacare e colorare la propria abitazione con materiali plastici
in netto contrasto con la storia e la struttura dello stabile. Infatti dopo
un po' di tempo c'è l'inevitabile rigetto (vedi la chiesa della
Trinità e altri immobili del centro storico).
E allora quale restauro?
È semplice. Si fa per dire. "Un canone umile e francescano".
Nel restauro entra la manualità regale dell'artigiano-muratore che
usa con intelligenza i materiali tradizionali riciclabili, ma anche con
molta, molta circospezione i materiali moderni per sopperire alle esigenze
del momento. Dove non è possibile il rinvenimento a faccia vista
dei mattoni, da lasciare allo stato naturale, l'unico intonaco esterno adatto
alle vecchie abitazioni è quello rustico "sguazzo"
dove deve trionfare la "deformazione" dal colore naturale
del materiale usato. Soltanto il tempo può dare la patina giusta
sia ai mattoni a faccia vista che all'intonaco rustico. Questo tipo di restauro
è a basso costo,perché dura nel tempo e non ha bisogno di
manutenzione. Sono da escludere gli intonaci uniformi, lisci, plastificati
e colorati.
Oltre al castello ben tenuto dal duca Antonino Maresca, alcune case
nel centro storico, in corso Garibaldi, e le facciate di parecchi negozi,
sono state ben restaurate con il rinvenimento dei mattoni a faccia vista.
Eredi dei vecchi capimastri, i nostri muratori sono gli artefici di questi
splendidi restauri. Siamo certi che essi tramandano ai loro apprendisti
oltre alla tecnica del cemento armato anche l'arte del restauro dei vecchi
stabili. Ma la crisi dell'artigianato che coinvolge anche questo settore
può spezzare questa catena. Già alcuni giovani a malincuore
hanno abbandonato il paese per trovare lavoro altrove.
Sono state ben ripristinate anche via Bovio già Grande, via Cairoli
e via XX Settembre, detta "De'Zincàri" già dal 1753,
perché, da quartiere periferico, accoglieva nomadi e forestieri.
Questa strada, la più larga del centro storico, con sbocco a Porta
Bianchini, pullulava di botteghe artigiane e negozi. Nel 1990 meritava di
essere restaurata da una squadra di vecchi artigiani napoletani, specialisti
nel trattare il loro materiale "le pietre del Vesuvio" (bàsele).
Usavano il maglio, la mazzetta, la leva; il capomastro, artigiano-architetto,
una funicella ( à zùchèrèlle)
a mo' di metro. Pochi mezzi, ma tanta, tanta esperienza.
Le nostre strade sono caratterizzate da lastricature di basole laviche
e "bianchini". Pietre resistentissime, introvabili, che potevano
essere depositate, dopo il rifacimento in porfido di piazza V. Emanuele,
per riutilizzarle, nel tempo, a restauro. Ma oggi l'ottimo usato si getta
o si dà in "beneficenza". In caso di necessità (lo
diciamo ai posteri?) le basole potranno essere riesumate nel vallone "don
Ciccio" dove si trova la loro fossa comune.
Conservare per riutilizzare: questo è il restauro. Ilcemento
armato è nocivo perchè non è riciclabile.
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