La memoria storica
Le prime ammissioni "ufficiali" riguardanti l'impossibilità di intervenire, architettonicamente o urbanisticamente, sui centri storici senza una conoscenza approfondita degli stessi, risalgono (almeno in Puglia) al 1980, con l'esperienza del laboratorio di quartiere, attuata ad Otranto da Renzo Piano. Se oggi, a distanza di vent'anni, quell'idea è riamasta solo sulla carta, lo si deve alla pretesa dell'uomo moderno di fare "tutto e subito", dimenticando che la natura non consente processi di accelerazione o, peggio ancora, di recupero immediato.
Il laboratorio di quartiere aveva riscoperto l'importanza del lavoro all'aperto, con la sua funzione didattica, offrendo ai ragazzini la possibilità di osservare e, quindi, di essere avviati all'apprendistato. Ma l'ideatore di questa iniziativa, forse, aveva dimenticato che i tempi erano cambiati. Nell'esperienza di Otranto, i ragazzini che vediamo in diapositiva erano attratti essenzialmente dalla ripresa televisiva e, quasi certamente, erano stati invitati ad avvicinarsi, mentre nel caso delle botteghe artigiane, i visitatori rimanevano alla dovuta distanza per non intralciare il lavoro: nessuno, neppure l'apprendista, avrebbe mai osato poggiarsi al banco dove lavorava il Maestro. Questi, d'altra parte, operava con tanta convinzione ed era tanto orgoglioso del proprio lavoro da coinvolgere qualsiasi spettatore, fino a ricevere la richiesta di essere ammesso a fare l'apprendistato. Il ragazzino, dal canto suo, non solo non aveva altri spettacoli da seguire, ma, tornando a casa, aveva la possibilità di cimentarsi nell'imitazione dell'artigiano e erano proprio gli immancabili insuccessi a riportarlo davanti alla bottega.
Ripetere oggi l'esperienza della bottega all'aperto potrebbe essere anche possibile, ma la via da seguire non è certo quella di sistemare in strada il banco di lavoro: rimane il metodo seguito nella didattica, il Maestro insegna essenzialmente con l'esempio, coinvolgendo i discepoli nella produzione.
Con questa piccola riflessione abbiamo solo toccato la punta dell'iceberg, ma pensiamo a quanti inteventi vengono fatti sulla base di semplici intuizioni, che tutti possono avere, ma che solo pochi hanno avuto la possibilità di verificare. Se le case di Serracapriola sono in mattoni e non in tufo o pietra calcarea, indubbiamente lo si deve a motivi ben precisi, ma anche il modo di utilizzare la materia a disposizione è dipeso da una serie di circostanze ambientali che hanno condizionato gli abitanti, i quali, a loro volta, hanno adattato il territorio alle proprie esigenze.
Sempre nella convinzione che non potremo mai conoscere e, quindi, intervenire su di un centro storico, senza prima avere preso coscienza delle origini e delle cause che sono alla base della costruzione delle abitazioni, inizieremo dall'analisi dei mestieri, trasmessi di generazione in generazione e che, hanno dato un contributo tutt'altro che trascurabile all'impostazione delle costruzioni e, di conseguenza, alla conformazione del centro storico.
|